GIUSEPPE E AMELIA PELOSO

Ricordo dei miei genitori.
GIUSEPPE E AMELIA PELOSO

Per 64 anni diedero vita ad una bella famiglia. A raccontarne la storia ne verrebbe un romanzo. O forse una meditazione.
Nacquero dieci figli: due morti piccolini, due sacerdoti, e gli altri moltiplicati in figli e nipoti. Giuseppe e Amelia hanno sempre vissuto in condizioni di vita molto modeste, soprattutto nei vent'anni passati alla casa della "Podóla".
"Quanta povertà e quanta fiducia nella Divina Provvidenza!": era l'espressione che immancabilmente accompagnava i ricordi del periodo mitico tra gli anni '30 e '50. I racconti si intrecciavano in una rincorsa continua. Uno tirava l'altro. Io li ascoltavo senza riferimenti e conferme, essendo l'ultimo nato.
Sempre mi sorprese notare che papà parlava degli eroismi di mamma (oh, storia minuta, quotidiana, ma di alto valore umano) e mamma parlava dei sacrifici e delle fatiche di papà. Che cari! "Ma ci siamo sempre voluti bene, questo sì, e il Signore e la salute non ci sono mai mancati". E su queste parole, concordi, mettevano punto.
Negli ultimi anni della vecchiaia, come a molti capita, facevano vita di convento in casa. Invece di una campana, a scandire orari e preghiere, c’era "Radio Oreb", una emittente religiosa locale.
Lontano da loro e dal Veneto, io ritornavo in famiglia di tanto in tanto, per un paio di giorni. Esaurite le notizie, restavo vicino a loro, per ore, in silenzio. Me li contemplavo uno accanto all'altro; in pace, sicuri uno dell'altro. L'espressione più alta dell'amore è quando, oltre le parole, le azioni e i progetti, resta solo la pura gioia della presenza, dell'esserci uno per l'altro, l'uno nell'altro. La comunione.
Ora, parole, azioni e progetti sono cessati del tutto. Resta la Comunione. Ed è tutto.