MESSINA Giovanni, padre degli umili e dei poveri

Padre Giovanni Messina fu l'apostolo dei poveri di Palermo ove fondò le Suore Orsoline che, nel 1967, si unirono alle Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione. Si veda: Epistolario di Padre Messina
PADRE GIOVANNI MESSINA
"padre degli umili e dei poveri"
Don Flavio Peloso
l Servo di Dio Padre Giovanni Messina, nacque a Palermo, nel popolare rione Kalsa, il 31 marzo 1871. Da ragazzo, prese a frequentare l'oratorio S. Filippo Neri a l'Olivella (Villa Filippina), ove si formò culturalmente e spiritualmente compiendo gli studi ginnasiali e liceali (1885-1891). Riconoscerà in S. Filippo Neri il “mio Padre”. Nell'ambiente Filippino sbocciò anche la sua vocazione al sacerdozio, coltivata poi nel seminario diocesano (1892-1896).
Fu ordinato sacerdote il 21 marzo 1896. Poco dopo, l'Arcivescovo, il Card. Michelangelo Celesia, intuendone la stoffa di apostolo di frontiera, lo convocò: “Tu, sacerdote novello e religioso filippino – gli disse -, sei impaziente di dedicarti al lavoro delle anime e godi buona salute. Ecco il campo che ti affido: Andrai ad evangelizzare una zona di povera gente che il prete lo vede molto di rado. Lì troverai alcune chiesette piccole e abbandonate da riattivare al culto” .
Il campo di apostolato assegnatogli era il rione di Sant'Erasmo , popolato di pescatori, senza edificio scolastico, viuzze sporche e maleodoranti, le casette erano rifugi squallidi, vi regnava la miseria. C'era una ricchezza però, che costituiva anche un preoccupante problema: i tanti bambini e ragazzi, con fame e sogni ugualmente difficili da saziare.
Padre Giovanni si rimboccò le maniche volenteroso. Dopo un duro lavoro manuale e fidato solo nella Divina Provvidenza potè riaprire al culto, il 4 giugno 1896 la piccola chiesa, detta del Santo Rosario . Subito si rivelò predicatore efficace e convincente. Le mani incallite e la parola vibrante lo fecero conoscere in tutta la zona che egli chiamava “ l'Africa di Palermo ” e poi in altre zone della città (S. Matteo, Cattedrale, ecc.).
Voleva essere “un sacerdote che porta il fuoco della carità” . Riattivò altre chiesette abbandonate (quella di Romagnolo, della Casina del principe Tasca di Cutò ridotta a teatro di marionette e poi legnaia), e, contemporaneamente, risollevò nella dignità peccatori piegati dal vizio, ridiede energie a tanta gente desolata, bisognosa di pane e di fede. Ma erano i fanciulli ad inquietarlo. Voleva fare qualcosa per i suoi “ pulcini ”, i “ picciriddi ”, per i suoi “ dolci figli ”: dar loro una casa, mantenerli, istruirli, educarli.
Padre Messina aveva cuore di padre e anche di madre, ma sapeva “prendere il toro per le corna” quando si trattava di difendere da prepotenze o da illegittime intromissioni i diritti sacri delle persone più deboli. E divenne esempio e stimolo per il clero di Palermo: “Oh, se tutti i sacerdoti potessero avere i carboni accesi sulla testa, come sarebbero illuminati tanti che dormono nelle tenebre della morte! Radunate, sì, radunate quanto più ne potete carboni e svegliamoci un momento: non siamo pigri ma laboriosi, siamo fervorosi e non freddi, siamo costanti e non ci scoraggiamo delle difficoltà”.
L'8 settembre 1898, incominciò a raccogliere nei locali che già furono del “Ricovero per l'infanzia abbandonata”, alcune bambine che vivevano abbandonate a se stesse nel rione. Inizia comè può, alla buona. A coadiuvarlo sono sua mamma, la sorella Nunzia e una terziaria Francescana di nome Gabriella Caruso. Pensa ai poveri e comincia a bussare alle porte dei ricchi. Lo farà per tutta la vita. Alcune signore della nobiltà palermitana l'aiutano a pagare l'affitto del locale. Nel 1899 – dunque, 100 anni fa – mette su casa, la chiama Casa “Lavoro e Preghiera ” per gli orfani abbandonati; viene inaugurata ufficialmente l'8 settembre 1900.
Ormai il seme è gettato e cresce di proprio impulso. Padre Messina era visto a Palermo come “ un prete da favola ” (titolo della biografia di G.Romeo), ma per altri era un prete da burla. Finì sui giornali, motivo di vignette umoristiche e battute pungenti. Ma non disarmò. La sua fortezza aveva radici solide, l'aveva imparata alla scuola della Croce. “L'amore di Dio è bello – faceva osservare -, ma per coloro che non vogliono soffrire non sembra così facile e bello… Poveretti, credono che amare Dio voglia dire non patire e godere la vita presente” . E, pensando alla sua opera, diceva ancora: “ In questa casa ci sono più lacrime che calce, pietre e cemento” .
Difficoltà e incomprensioni gli vennero anche per motivi amministrativi e per il modo tutto ‘popolaresco' che caratterizzò l'intera sua vita. Era scena abituale, per esempio, vederlo aggirarsi a tutte le ore per le vie di Palermo con un carretto per raccogliere generi alimentari e aiuti d'ogni tipo, stendendo la mano tanto ai palazzi dei nobili come alle bancherelle del mercato. Il popolo prese ad amarlo sempre più, e lo denominò affettuosamente il “pazzo di Dio ”. Le Autorità religiose gli confermarono sempre la loro piena fiducia e Padre Messina si diceva “lietissimo perché… assicurato che l'opera non è umana o da me fatta, ma è stato Dio che l'ha fatta e la vuole”.
I terremoti di Calabria e di Messina (1908), e l'alluvione palermitana (1932) lo videro in prima fila nella carità, con quel gruppo di anime buone e “quasi suore” che, il 16 ottobre 1901, aveva vestito con l'abito delle Terziarie Francescane. Ma non voleva fare il fondatore di suore. Nel 1904 tentò di unirle alle Terziarie Francescane Oblate del S. Cuore di Maria, e nel 1906 alle Figlie di Maria Ausiliatrice di Don Bosco. Ma rimasero con lui.
Nel 1908, si recò a Roma per difendere la sua Opera minacciata di chiusura e se ne tornò con il confortante incoraggiamento di Pio X. A Palermo, il Card. A. Lualdi lo consigliò di rompere gli indugi e di costituire le sue collaboratrici in comunità di “ Orsoline Congregate ”: e con tale denominazione, il 31 marzo 1915, ne riconobbe canonicamente l'istituzione.
Una dopo l'altra, Padre Messina aprì diverse case per gli orfani e gli abbandonati che sempre curò con molto zelo: la casa centrale al Foro Umberto I di Palermo, e poi a Misilmeri, Villagrazia, Villarosa (Enna), S. Margherita Belice (Agrigento). Insieme ai poveri che aveva in casa, curava altri poveri, i “poveri di Cristo” e di senso cristiano della vita toccati dalla sua carità. Il dinamismo apostolico di “evangelizzazione e testimonianza della carità”, evidentemente, funzionava anche allora.
La pazienza e la fiducia nella Divina Provvidenza lo sorressero nelle difficoltà ed avversioni subite durante tutto l'arco della sua vita. Quando il 18 maggio 1949 gli fu comunicata dall'autorità comunale la soppressione della sua Opera, non resse al pianto e allo strazio. Un repentino malore segnalò che la sua vita era ormai del tutto sacrificata in olocausto di carità. Morì pochi giorni dopo, il 24 maggio successivo. Aveva 78 anni.
La notizia che era morto il “padre degli orfanelli” e il “protettore degli umili e dei poveri” di Palermo corse di bocca in bocca, riempì le colonne dei giornali, fece muovere folle di devoti a rendergli omaggio nella chiesa del Corpus Domini . Palermo si accorse quanto voleva bene a “u Patri”.
La sua opera continuò per l'impegno delle Suore con lui formatesi nella mistica della carità. Queste, il 9 marzo 1967, si unirono per consonanza di spirito e di finalità apostolica alle Piccole Suore Missionarie della Carità, fondate dal beato Don Luigi Orione.
Di Padre Giovanni Messina è stata introdotta la causa di beatificazione. L'Inchiesta diocesana sulla vita e le virtù si è conclusa il 21 marzo 1991 ed ora l'intera documentazione è all'esame presso la Congregazione vaticana delle Cause dei Santi.
In questo “anno di Padre Messina” (24.5.1999 – 8.9.2000), una serie di momenti celebrativi, culturali e di iniziative pastorali - quali l'inaugurazione dell'Oratorio “Padre Messina” a Villagrazia - aiuteranno a ravvivare la memoria di questo Servo di Dio che fa parte del tessuto storico della città di Palermo.