ANIME! ANIME!

E' un motto tipico di Don Orione: la sua storia e il suo significato.
A nemmeno un mese dalla morte, in una delle ultime Buone Sere ai suoi chierici, il 18 febbraio 1940, Don Orione precisava la portata del motto "Anime! Anime!": "Avrete letto - disse - più di una volta questo grido nelle intestazioni delle lettere; grido che è tutto un programma, il programma della nostra Congregazione" (Par., XII, 119). Programma del quale aveva tracciato già le prime ardite linee durante la sua permanenza nell'Oratorio salesiano di Torino, quando - ricordava - "non si sognava che mari da solcare; si pregava e si pregava molto; si supplicava Gesù Cristo che ci avesse fatti crescere presto, per presto correre in tutte le parti del mondo a piantare la Croce, a salvare su arene lontane i lontani fratelli" (La Scintilla, 17.9.1895, pag. 3).
Questo grido - in forma un po' più esplicativa: "Anime, voglio anime!" - salì dal cuore del giovane oratoriano proprio sulla tomba di Don Bosco nella notte in cui doveva decidere se presentare domanda per entrare nel noviziato salesiano o se dovesse sospendere quella scelta in vista di un futuro apostolato a più ampio raggio, nel quale avrebbe potuto impegnare non solo il suo zelo personale, ma anche la collaborazione di altri missionari che si sarebbero uniti a lui. Su quella tomba infatti aveva "sentito gli Angeli piangere", perché vi erano milioni di persone ancora immerse "nelle tenebre e nell'ombra della morte", e ad esse avrebbe voluto portare il dono della fede (Cfr. Scr. 57, 88).
Entrava nel seminario di Tortona con questo bruciante fuoco in cuore e, nell'assumere la divisa ecclesiastica con la vestizione clericale, lo esprimeva sinteticamente nel motto: "Anime! Anime!" ; motto che, l'estate successiva, consegnava come "parola d'ordine" a sei giovinetti di Pontecurone, da lui riuniti in una "Compagnia" consacrata e dedicata "in modo speciale e tutto particolare ai voleri del Sommo Pontefice" (Scr.69, 401).
Seguì per qualche anno quei giovinetti considerandoli già come suoi collaboratori nel futuro apostolato missionario. Rivolgendosi ad un sacerdote dell'Oratorio di Torino in favore di uno di essi scriveva infatti: "Se il Signore mi farà essere un giorno missionario, come ardentemente lo spero, alla prima anima che offrirò al cielo, mi ricorderò di Lei, che tanto avrà contribuito a formare, forse, un compagno di missione nel giovane per cui ora prego tanto di cuore" (Scr. 64, 318). Proposte di aggregazione per un futuro apostolato faceva anche ai compagni di seminario, cui "parlava spesso dei suoi disegni di Oratori e di Collegi da fondare", mostrandosi "assetato di anime e anelando a portare tutti a Dio" (Relazioni, V. 4. I).
L'amore alle anime si era sviluppato in lui quale naturale conseguenza dell'amore a Dio. A Gesù che in Croce implorava: "Ho sete", Don Orione aveva chiesto quale bevanda desiderasse. "Anime, o figlio, Anime!" s'era sentito rispondere (Cfr. Scr. 61, 9). Fu quella implorazione che lo spinse a faticare e sacrificarsi per l'apertura del primo Oratorio festivo in Tortona. "Cristo! Anime! Papa! Ecco tre parole che da sole valgono un programma. Io le vorrei scolpite nel cuore vostro, o giovani, siccome quelle che riflettono i tre supremi amori del cuore cattolico" (Scr. 81,4). Così si esprimeva nell'indirizzo che, il 3 luglio 1892, lesse all'inaugurazione di quella nuova attività, da lui considerata come la primogenita delle sue opere.
Di conseguenza, il libro cassa del primo Collegetto in San Bernardino di Tortona lo apriva col motto "Gesù! Anime! Papa!" (Scr. 96, 18) e "Anime! Anime!" fece stampare sulla testata del primo numero del giornaletto "La Scintilla" (31 agosto 1895), quasi a rendere di pubblica ragione lo scopo per il quale era stato poco prima (15 aprile1895) ordinato sacerdote. Nella sua prima Messa infatti aveva chiesto "la grazia della salvezza per tutte le anime che avrebbe iincontrato sul suo cammino" (DO., II, 171).
E non le attese, le anime, ma, rispondendo all'appello del suo vescovo: "Fuori di sacrestia!" , andò a cercarle, scegliendo quale fine privilegiato del proprio apostolato le anime dei più lontani. Con questo programma dedicò all'apostolato diretto ogni minuto che riuscì a sottrarre ai suoi pressanti impegni di Fondatore. Vigoroso predicatore di missioni popolari, lasciò il segno del suo passaggio - col ricordo di qualche episodio rimasto memorabile - in più di una parrocchia della diocesi. Traducendo in realtà l'antico sogno missionario, poté finalmente inviare i suoi figli nell'America Latina, in Palestina, Polonia, Albania, Stati Uniti e Inghilterra. Lui stesso varcò due volte l'Oceano per visitare e incrementare le istituzioni del Brasile e dell'Argentina.. Logorato dalle fatiche per le opere di carità suscitate a sollievo delle sofferenze fisiche e morali dei fratelli, il 25 febbraio 1939, dava a conoscere quale era stata la molla che lo aveva mosso e lo sosteneva ancora, al tramonto ormai della sua laboriosa esistenza, augurandosi: "Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine. Amore delle anime, anime, anime!" (Scr. 57, 103s).