Ricostruzione dettagliata degli eventi dal giorno della morte (12 marzo) fino alla sepoltura (19 marzo 1940).
CRONACA DELL’ADDIO A DON ORIONE
Il lungo e devoto saluto a Don Orione dal 12 al 19 marzo 1940
12 marzo: la notte, a Sanremo, dopo la morte di Don Orione.
Affidiamo la cronaca dei primi momenti e delle prime ore seguite alla morte di Don Orione a Modesto Schiro, il chierico infermiere, che ne fu protagonista.
“Quando m’avvidi che Don Orione era morto, dissi: È morto! È spirato!”.
Suor Maria Rosaria, la suora che Don Orione aveva fermata sulla porta con gesto deciso e paterno, stava nascosta alla vista dietro alla poltrona su cui spirò il Padre comune, scoppiò in pianto, fuggì via singhiozzando. Avvertì le consorelle che stavano già nel corridoio.
“Restai solo. Quando vidi Don Orione morto, capii che toccava a me dare subito sistemazione alla salma”, ricorda Modesto Schiro. “Andai al letto, presi due cuscini, glieli posi uno di qua e uno di là, perché gli sostenessero il capo, e la testa potesse rimanere diritta. Intanto mi sentii spinto a recitare un Pater, Ave e Gloria in suo onore, perché mi aiutasse a non perdere la testa in quel momento. Mi desse forza e calma.
Raccolsi tutte le cose che erano sul tavolo ed in giro per la camera e le posi dentro la valigia della corrispondenza. Poi mi girai verso il letto e cominciai a ritirare le lenzuola per piegarle e ritirarle.
Entrò a questo punto don Bariani con il dottore. Era uscito a cercarlo con l’auto, una Topolino, mentre Don Orione era entrato nella crisi cardio-respiratoria Aveva girato e girato; da ultimo aveva trovato un dottorino giovane e da poco laureato.
Il dottore entrò, prese una sedia, si pose a sedere accanto alla salma e disse: “Chi è quest’uomo?”. Una domanda così cruda mi fece un po’ di senso. Gli toccò il polso, guardò. Concluse: “È morto”. E se ne andò al suo albergo a piedi.[1]
Io ripresi a piegare le lenzuola – continua Schiro -, ma don Bariani pretendeva che dovessi mandarle a lavare. Io volevo invece conservarle così. Lo consigliai di andare a telefonare per avvertire subito i confratelli di Tortona, di Genova, di Sanremo. Corse al telefono. Io ripresi a piegare le lenzuola e le misi nel comò dell’atrio che conduceva alla camera di Don Orione. Venne a questo punto la sacrestana e mi aiutò a piegare”.
"Fatto un po’ di ordine nella stanza occorreva procedere all’operazione più importante: sistemare e vestire Don Orione.
Presi la veste, la sbottonai e, muovendolo meno che potevo, gliela indossai riabbottonandola. Le suore intanto mi avevano portata una pianeta violacea: una bella pianeta; l’amitto, il camice. Con reverenza, adagio, gli indossai i paramenti sacerdotali. Era lì, nella calma solenne della morte”.[2]
Prima di mettere la salma sul letto, Modesto pensò bene di mettervi un materasso di crine per migliore traspirazione. Lo procurò e lo pose sul letto; vi stese sopra un lenzuolo, vi adagiò la Salma.
Nel frattempo, don Bariani tentava concitatamente di telefonare. Inutilmente. Di notte, erano sospese le telefonate interurbane. Il povero don Bariani tentò a vari centralini, supplicò, minacciò. A nulla valse. Non poté telefonare a Tortona. Tra un tentativo e l’altro al telefono si affacciava alla stanza.
Telefonarono a don Ghiglione, il direttore del vicino Istituto “San Romolo”. Era notte, dormivano. Alla fine risposero al telefono. La casa si destò e dal San Romolo accorsero per primi, verso le 23 ½, don Ghiglione con alcuni assistenti, i chierici Manduca e Ruggeri e poi altri.
Fu preparata la camera, sgombrata dal mobilio e con i candelieri presi dalla sacrestia. “Mentre si trasportava il mobilio, don Ghiglione recitava i 100 Requiem. Finito di preparare la camera l’ho pulita bene e mi sono inginocchiata a pregarlo, ad invocare la sua intercessione”.[3]
Si cominciò a pregare attorno alla Salma, ormai composta e ordinata.
13 marzo: la notizia giunge al Paterno di Tortona.
Non essendo riusciti a telefonare a Tortona, don Bariani e il chierico Schiro decidono di partire in auto per raggiungere Tortona per avvertire don Sterpi, il canonico Perduca, l’abate Caronti, e tutti i Confratelli. Don Bariani, per la scossa emotiva avuta, non si sentiva in condizione di guidare la macchina e così partirono con un’auto presa a noleggio.
Giungendo a Tortona all’ora della levata, le 5, si diressero prima al Collegio Dante, pensando di trovarvi il canonico Perduca che, meglio avrebbe dato la notizia a don Sterpi. Il Canonico era però al Paterno. E là lo raggiunsero, lasciando l’auto davanti al bar Bardoneschi. Don Bariani informò il canonico. Insieme si recarono da don Sterpi.
A questo punto, passiamo la parola ad un altro testimone che si trovava al Paterno e che d’ora in poi ci accompagnerà con i suoi ricordi precisi e bene informati, Giuseppe Zambarbieri.
“Il 13 marzo, alzatomi come di consueto al suono della campana, mi avviavo verso la Cappella del Paterno per la S. Messa. Mancavano alcuni minuti alle 5,30. Giunto nel corridoio dove c’era la stanza di Don Orione, mi fermai di colpo. ‘Don Bariani qui, a quest’ora?’, mi chiesi mentalmente. “Ma se ieri sera era a Sanremo ad assistere Don Orione?”. Un dubbio angoscioso mi attraversò l’animo e fin da quel primo istante ebbi precisa la sensazione che il venerato Fondatore era morto.
Arrivò anche don Gino Carradori. Guardò anche lui don Bariani, poi si rivolse a me, senza parlare. Mi feci coraggio e avvicinandomi a don Bariani che se ne rimaneva immobile in quella posizione, gli domandai: ‘Il signor Direttore… sta male?’. Non ebbi il coraggio di chiedere di più. Fece segno con la testa di sì. In quel momento si aprì la porta della stanza del canonico Perduca e don Bariani entrò. Li sentimmo piangere tutti e due. Poi uscirono e si avviarono verso la camera di don Sterpi. Li seguii. I chierici entravano in Cappella per la S. Messa. Don Bariani non aveva avuto cuore di dare lui la notizia a don Sterpi ed era andato prima dal Canonico. Bussarono alla porta, poi entrarono. Io rimasi fuori”.
“Aprì la porta, vide il canonico, poi vide me – riferisce don Bariani -. Non ci furono parole. Comprese. Levò le mani al cielo e poi si coperse il volto e pianse. Povero don Sterpi! Finalmente si fece forza ed uscì per dare l’annuncio ai chierici. Teneva la mano destra stretta sul petto e la sinistra tesa indietro. Si portò dinnanzi all’altare e disse qualche parola. Non poté continuare. In Cappella si piangeva tutti”.
“Subito dopo si cominciò a diffondere la notizia, telefonando prima alle Case di Tortona, poi a quelle vicine. Era uno strazio. Poco più tardi, don Sterpi mi avvertiva di tenermi pronto – è Zambarbieri a ricordare - perché sarei partito con lui per Sanremo. Don Sterpi celebrò a stento la prima Messa da Requiem per Don Orione. Terminata la Messa e date alcune disposizioni, partimmo immediatamente per Sanremo”.
La commozione di Sanremo
Don Sterpi con Zambarbieri partirono da Tortona con la stessa auto a noleggio con cui don Bariani e Schiro erano venuti nella notte da Sanremo. Era una mattina grigia, piovigginava e c’era nebbia.
“In automobile – riferisce Zambarbieri - non si fece che pregare per l’anima benedetta del nostro Padre. A Sampierdarena attendeva don Enrico Sciaccaluga che salì con noi. Don Sterpi e don Bariani proseguirono col treno. A Genova, don Sciaccaluga ed io, secondo le disposizioni avute, telegrafammo la notizia in Argentina, Uruguay, in Brasile, negli Stati Uniti, in Albania, in Polonia, a Rodi, a quei nostri confratelli. Poi con l’auto si continuò alla volta di Sanremo, dove arrivammo nel primo pomeriggio”.
Nella camera di Villa Santa Clotilde, la salma del venerato Fondatore era composta, atteggiata a dolcissima pace. Don Orione sembrava riposasse. Sul volto aleggiava il sorriso. Mons. Rousset, vescovo di Ventimiglia, fu tra i primi ad inginocchiarsi davanti a lui.
Don Sterpi arrivò verso mezzogiorno ed andò subito a prostrarsi vicino alla Salma.[4] Si faceva forza. Poi andò a celebrare la Messa nella chiesetta.
C’era un continuo avvicendarsi di visitatori che cominciavano ad affluire anche di lontano. Verso le 17, la salma fu trasportata nella chiesetta della casa e il pio pellegrinaggio continuò.
Per soddisfare il desiderio di quanti volevano far toccare oggetti alle mani incrociate di Don Orione, alcuni chierici si disposero accanto alla salma, ricevevano corone, immagini, medaglie, fiori e li deponevano sul corpo del venerato Fondatore e riconsegnavano quegli oggetti, accolti con indicibile senso di devozione.
In treno giunsero altri confratelli da Tortona e con loro il canonico don Boccio e Padre Macario, segretario del vescovo Melchiori che li aveva inviati.
Alla sera arrivarono molti confratelli, benefattori, amici da Roma, dalle Marche, un po’ da tutte le case e città. Una grande mestizia sul volto di tutti. “Avveniva – osserva Zambarbieri – che dopo che si furono inginocchiati accanto alla salma benedetta, alla pena e al dolore fece posto una ineffabile serenità e pace spirituale. Così, per tutti. Ci si scambiava a vicenda questa singolare impressione, persuasi che tanta serenità, in un’ora così dolorosa, fosse un dono propiziato dal venerato Fondatore”.
Attorno alla salma si alternavano ininterrottamente i religiosi accorsi, benefattori e amici. Una processione interminabile di persone cominciò a sfilare. La frase sulla bocca di tutti era: "È morto un santo". Dinnanzi all'uomo di Dio, la città si è come scossa.
L'omaggio non cessa nella notte. Continua la veglia, devotissima. Amici, benefattori e beneficati giungono da ogni parte. Don Sterpi non si stacca dalla presenza del suo grande superiore ed amico. Sono presenti i due Vescovi della Congregazione, mons. Paolo Albera di Mileto e mons. Felice Cribellati di Nicotera e Tropea.
Nel pomeriggio di quel giorno, don Sterpi incaricò Zambarbieri di far passare tutte le carte che Don Orione aveva con sé. “Don Sterpi mi chiese se ero a conoscenza di qualche scritto di Don Orione in merito alla sua sepoltura”, racconta Zambarbieri. “Riferii della lettera conservata nel cassetto del tavolo del Direttore a Tortona. Si trattava di una busta chiusa – l’unica chiusa – con sopra scritto, dall’ingegner Marengo, che la lettera doveva essere aperta solo dopo la morte di Don Orione. L’ing. Marengo stesso mi aveva messo a parte del contenuto dello scritto e potei quindi renderne edotto don Sterpi”.
Don Sterpi incaricò il canonico Boccio e Padre Macario, che ripartirono per Tortona insieme a don Orlandi, di prelevare dal cassetto della camera di Don Orione la lettera in questione e sottoporla al vescovo mons. Melchiori.[5]
In quella busta chiusa non c’era un vero e proprio “testamento” ma una disposizione scritta, datata 2 febbraio 1938. In essa, Don Orione stabiliva di non voler essere “sepolto entro i confini della Diocesi di Tortona sino a che l'Autorità Diocesana non emetta un atto da rendersi pubblico, che dichiari che non ha alcun fondamento la turpe calunnia che, da anni, si è gettata sopra di me».
Si trattava di un atto molto forte e doloroso da parte di Don Orione che faceva riferimento a una vicenda ancor più dolorosa. Un lontano episodio delle intimidazioni da lui subite durante la sua permanenza a Messina come Vicario generale, dopo il terremoto (1909-1912), fu trasformato in calunnia che circolava nell’ambiente tortonese negli anni Trenta. Don Orione aveva chiesto una chiarificazione autorevole, ma non venne. “Se si trattasse solo di me – scrisse al canonico Arturo Perduca in occasione della morte del vescovo di Tortona, mons. Pietro Grassi - avrei portato silenziosamente nella tomba questa pena e tanta nequizia, in espiazione delle mie colpe, per amore di Dio soprattutto, e degli stessi tristi che diffamarono; ma dietro di me siete tutti voi, sacerdoti, chierici, suore etc.”.[6]
Fu presentato al vescovo Egisto Melchiori il documento testamentario di Don Orione. Il Vescovo fece subito chiamare il sacerdote della diocesi responsabile della calunnia – forse solo indirettamente, ma mai egli volle chiarire - il quale rilasciò, d'accordo con il Vescovo, la sera del 14 marzo, la dichiarazione in cui finalmente egli faceva chiarezza su quanto fu all’origine della calunnia.
“Questa dichiarazione, mandata subito a San Remo, parve sufficiente al Padre Visitatore, Emmanuele Caronti, e ai Superiori[7] che ivi si trovavano, e così la salma di Don Orione poté essere portata e seppellita a Tortona”, riferì il canonico Arturo Perduca che curò personalmente la questione.
14 marzo: una folla interminabile rende omaggio all’apostolo della carità
Subito dopo la mezzanotte, incominciarono all’altare della chiesetta della Villa Santa Clotilde le Messe di suffragio. Alle sei del mattino celebrava l’abate Caronti. Dalle prime ore del giorno ricominciò il devoto corteo dei sanremesi, con un afflusso sempre più crescente, imprevisto.[8]
Don Orione era entrato sconosciuto nella solitaria Villa Santa Clotilde e vi rimase nascosto per tre giorni, da vivo, ora, nella composta serenità della morte, muoveva a sé un pellegrinaggio incessante di popolo che vuole rendere omaggio alla Salma, che vuole serbarne una reliquia, fosse anche solo quella dell’ultimo sguardo dato al suo volto. Quell'onore e quella stima che Don Orione aveva sempre sfuggito e che, al primo accenno, lo faceva tremare, ora li riceveva il suo corpo senza vita. Erano persone di ogni categoria sociale, sacerdoti, professionisti, signore e signori della nobiltà, donne del popolo, giovani, vecchi, bambini in braccio alle mamme. Si trattenevano ammirati in preghiera, poi desideravano far toccare qualche cosa alla salma per portar via un ricordo. Sacerdoti e chierici dovettero così succedersi nell’intera giornata in quel pietoso ufficio, senza un momento di tregua.
Modesto Schiro vegliava ancora sul quel corpo che aveva servito amorevolmente. “Cominciò subito il concorso della gente. La maggior parte chiedeva: «Dove è il santo che è morto?». Ben presto la camera si mostrò insufficiente ad accogliere tutti i visitatori che venivano a rendere omaggio alla Salma, raccogliendosi in preghiera. Chi toccava la salma, chi baciava le mani: tutti accostavano oggetti religiosi e personali. I pochi fiori che venivano portati erano subito saccheggiati. Si pensò così di esporre la Salma in cappella, anche perché si temeva che qualcuno arrivasse a tagliare qualche pezzo dei paramenti sacri di cui era rivestito. E' stato un avvicendarsi, un bisbiglìo, un pregare continuo. Quanto allo stato del cadavere, debbo dire che nella notte tra il dodici e il tredici, furono praticate alla salma delle iniezioni per impedire la decomposizione. Il giorno 13 fu fatta la maschera, non troppo riuscita”.[9]
“Don Orione, tutto circondato da garofani, aveva sul volto qualcosa di angelico. Nulla c’era che ispirasse ripugnanza”, annota Zambarbieri. “Anche i più piccoli si avvicinavano con confidenza, persuasi quasi di vedere un santo. Ricordo sempre l’espressione di un fanciulletto che, sollevato dalla mamma perché potesse contemplare la salma, esclamò: Oh, mamma. È morto, ma ride”.
Nella mattinata, partono e giungono molti telegrammi ad insigni personalità con le quali Don Orione aveva speciali rapporti. Si provvide anche a far preparare un cartoncino con l’annuncio di morte. Il testo, composto da don Domenico Sparpaglione, fu riveduto nella bozza dall’abate Caronti.[10]
La gran parte dei giornali d’Italia e di altre nazioni, specialmente della Francia e dell’America Latina, danno la notizia della morte di Don Orione con ampi resoconti della sua vita e delle opere, rilevando quanto si sia prodigato in favore degli infelici, e quale fama di santità se ne sia sparsa in ogni strato sociale.[11]
Telegrammi, lettere giungono a fasci da ogni dove. Papa Pio XII fece arrivare, tramite il cardinale Maglione, segretario di Stato, un telegramma di cordoglio con parole che divennero qualifica indelebile di Don Orione: “Sua Santità accompagna con preghiere e voti anima grande, apostolo carità, padre poveri, insigne benefattore dell'umanità afflitta”. La Regina d’Italia Elena, Cardinali, Vescovi, Superiori di altri Ordini, ex allievi, benefattori, beneficati e semplici conoscenti, tutti concordi nell’esaltare la santità del Fondatore.[12]
I funerali in Sanremo furono fissati per il giorno seguente, 15 marzo. Il Municipio offrì il carro funebre di prima classe, gratuito, con scorta d’onore.
In considerazione della domanda avanzata dalle autorità e dai benefattori, si prospettò una sosta della salma a Genova.
Nel pomeriggio pervenne insistentemente anche la richiesta da Milano di trasportare la salma di Don Orione nella Metropoli lombarda. “Quando giunse la prima notizia io ero all’apparecchio” ricorda Zambarbieri. “Ritenni la cosa assolutamente impossibile. Ricordo che don Sterpi esclamò testualmente: ‘Ma sono matti!’.[13] Lo stesso senatore Cavazzoni, che dalle benefattrici di Milano era stato interpellato a Bogliasco, aveva dissuaso, lasciando comprendere che si trattava di un desiderio irrealizzabile: le autorità non lo avrebbero permesso! Invece la signora Gina Bassetti, la contessa Antonia Caccia Dominioni, donna Lina Cajrati Crivelli, di loro personale iniziativa, riuscirono ad ottenere dal Prefetto e dal cardinale arcivescovo Schuster ogni autorizzazione”.[14]
Con fonogramma, giunto a Sanremo nel pomeriggio del 14 marzo, il Direttore del Piccolo Cottolengo Milanese, don Fausto Capelli, avvertiva di preparare da dormire per alcune signore che sarebbero giunte in serata con uno scritto di don Giolli, postillato dal cardinale Schuster. Di fatto, alle ore 21, giunse la deputazione milanese: donna Antonietta Radice Fossati, donna Camilla Sassi de Lavizzari, la contessina Antonia Dal Verme, la marchesina Cristina Ferreo d’Ormea e altre. Appena arrivate furono ricevute dall’abate Caronti il quale, presa visione della lettera che recavano e sentito il beneplacito consenso delle Autorità, dispose che la salma di Don Orione fosse fatta proseguire da Genova direttamente per Milano, donde sarebbe poi arrivata a Tortona.
Per tutto il pomeriggio del 14 marzo, una folla raccolta e devota continuò a sfilare nella chiesetta fino a sera assai tarda. Insieme alla cittadinanza sanremese, scossa dall’evento e desiderosa di vedere le sembianze dell’apostolo della carità, erano i molti e molti convenuti da ogni parte per l’estremo tributo di omaggio alle spoglie del Padre amatissimo. Alla veglia che si protrasse l’intera notte, volle essere presente anche la delegazione delle signore milanesi.
Il vescovo Cribellati, un orionino che ben conosceva Sanremo per avervi dimorato come direttore del Collegio San Romolo, osservò: “Mi si disse che i negozi di San Remo di oggetti religiosi, immagini, medaglie, piccoli crocifissi, s'erano esauriti, e ricordo quale e quanta fu la mia meraviglia nel vedere tanto fervore e tanta ressa attorno alla venerata salma di Don Orione, avendo io sempre ritenuto la città di Sanremo, dove io avevo passato sei anni, come fredda ed apatica in materia religiosa ed in opere caritative, facile soltanto alle grandi manifestazioni del piacere e della mondanità.
Furono proprio le manifestazioni di Sanremo che mi impressionarono maggiormente, pensando che quell'ambiente non avesse potuto comprendere ed apprezzare lo spirito di Don Orione, a differenza di altre città che avevano per lui tanta venerazione, e mi è parso in quelle onoranze funebri di vedere chiaramente la mano di Dio, che metteva in luce il suo Servo”.[15]
15 marzo: i funerali a Sanremo.
Nel primo mattino del venerdì 15 marzo, la salma fu collocata nella bara. Assistettero don Sterpi, l’abate Caronti, i vescovi orionini Albera e Cribellati, tutti i Superiori maggiori, i Sacerdoti, le Suore, benefattori e benefattrici.
“Fu allora che venne intonato l’Ecce quam bonum et quam iucundum abitare fratres in unum. Il canto – osserva Zambarbieri - più che espressione di dolore, era la dolce speranza che il Padre avrebbe continuato a rimanere in mezzo ai suoi figli; era il solenne giuramento di voler conservare per sempre, a vincolo indissolubile della Congregazione, quella Carità che era stata sempre voto ardentissimo ed anelito supremo di Don Orione”.
Verso le 9, un lieve movimento nella folla segnalò l’arrivo di mons. Agostino Rousset vescovo diocesano. Quasi subito, si mosse il corteo dalla Villa Santa Clotilde verso la chiesa parrocchiale degli Angeli. Otto Sacerdoti reggevano la pesante bara. Attraverso il grande cristallo che la ricopriva in tutta la sua lunghezza, era visibile la salma venerata. Il popolo sanremese faceva ala all’imponente corteo composto di ogni ordine di autorità e rappresentanze. Sul piazzale antistante la Chiesa c’era una marea di gente, in atteggiamento devoto, commosso.
Al termine della solenne ufficiatura, il vescovo diocesano mons. Rousset tenne l’elogio funebre. Disse tra l’altro: “Don Orione fu un grande. Lo dice il plebiscito di cordoglio in tutta Italia e fin nelle lontane Americhe. Lo dice il pianto dei suoi figli spirituali, il pianto di migliaia e migliaia di beneficati. Lo dirà domani la storia, e narrerà un'esistenza tutta intessuta di bontà, di virtù, di carità e di beneficenza. Lo dirà domani - noi azzardiamo, ma sentiamo il presagio - la Chiesa che onorerà in Don Orione un santo!”.
“Ricordo lo stupore che provavo dentro di me mentre ascoltavo quelle parole, tutte pervase da una altissima stima delle virtù del venerato Fondatore”, annota Zambarbieri. “Era la voce di un Vescovo che, raccogliendo in ispirito i sentimenti che si erano accesi in tante e tante anime, non aveva timore di chiamare Don Orione santo. Lasciatosi trasportare dal cuore e in preda a commosso entusiasmo, Sua Eccellenza aveva detto, a viva voce, molto di più. Nel testo scritto l’ardimento era temperato da più che giustificata prudenza. Quanto affetto per il venerato Fondatore, quanta devozione e certezza presaga del giudizio che un giorno – a Dio piacendo - la Santa Chiesa darà delle virtù eroiche dell’Uomo di Dio”.
L’omaggio di Sanremo si prolungò e si fece ancor più intenso quando la salma benedetta fu portata dalla chiesa degli Angeli verso Villa Santa Clotilde. Allorché si giunse all’altezza della Villa pronunciò un commovente addio don Giuseppe Schena, che teneva in quei giorni una settimana di preparazione alla Pasqua, organizzata dagli Uomini di Azione Cattolica di Sanremo. “Abbiamo accompagnato qui – esclamò - il cuore di un grande, uscito da Dio a consolare gli afflitti. L’ultima parola la dirà il popolo, la dirà il cuore. L’umanità triste si riscalda a questo sole e saluta nei Santi la primavera del mondo. La scienza distanzia, è troppo fredda; i forti si temono, i buoni si amano e si piangono”.
Tutto era ormai pronto per la partenza alla volta di Genova. Si attendevano solo le corone rimaste nella Chiesa degli Angeli. Si aspettò. Gli incaricati arrivarono dicendo che erano state fatte a pezzi dalla folla; quanti avevano potuto, avevano portato via ogni cosa per conservare un ricordo di Don Orione. Non era rimasto nemmeno un fiore.[16]
E iniziò il viaggio verso Tortona. Sarà tutta una sorpresa. Ogni progetto preventivo cadde. Comandò il popolo, il suo affetto e la sua devozione.
Nella Riviera dei fiori inizia il lungo viaggio
Il corteo percorse la Riviera di Ponente tra continue manifestazioni di omaggio: Alassio, Spotorno, Finalpia, con la presenza dei Benedettini del noto monastero. Entrando in Savona, tutte le campane della città suonarono a distesa. Portata a braccia dai giovani di Azione Cattolica, la bara entra nella chiesa del Sacro Cuore ove sono convenuti numerosi sacerdoti e popolo; ancora preghiere, canti e l’omaggio di fedeli. Anche a Varazze c’è una folla grande che attende con i Padri Salesiani. Simili accoglienze si rinnovano a Cogoleto. Ad Arenzano si passa tra un’ala continua di popolo. A Crevari, c’è il Prevosto che guida i suoi nell’omaggio. A Voltri, la via principale era talmente affollata di popolo che il furgone funebre fu costretto a fermarsi e a procedere a passo d’uomo; al suo passaggio la gente si inginocchiava e pregava.
Dopo Pra e Pegli, si arriva a Sestri Ponente. Qui, lungo via Merano e via Sestri, sono schierate circa 20.000 persone. Quasi ad ogni finestra è esposta la bandiera, con fascia a lutto. Gruppi di operai in tuta, scolaresche con l’abito di scuola, rappresentanze civili, gente di ogni tipo, il clero del Vicariato e le rappresentanze dei vari Ordini religiosi si sono dati appuntamento per aspettare e salutare Don Orione. Quando, pochi minuti prima delle 16, il convoglio compare al ponticello che scavalca il torrentello Cantarena, la commozione diventa incontenibile. L’auto funebre si ferma davanti alla chiesa e vi sosta per cinque minuti. Si elevano preci, l'Arciprete imparte la benedizione. I più vicini, essendo stato aperto lo sportello posteriore del furgoncino, si tendono, in una gara affettuosa, a toccare la bara. Dopo il rito della benedizione, la vettura con la salma e quelle del seguito riprendono la marcia verso il centro di Genova. Intanto da tutte le chiese della Delegazione le campane salutano con lenti rintocchi.
“Da Sanremo ho potuto seguire la salma venerata lungo tutto il suo tragitto, a Genova, a Milano, a Tortona, senza assentarmi mai”, premette Zambarbieri. “La voce del passaggio della salma di Don Orione era corsa ovunque e un po’ dappertutto c’era gente che aspettava, massime nei grossi e piccoli centri, gente che si metteva in ginocchio appena riconosceva l’autofurgone, si segnava, lanciava fiori. Bella la dimostrazione di Savona. Imponentissima quella di Sestri”.[17]
A Genova, accoglienze commosse e trionfali.
“Le accoglienze di Genova furono davvero trionfali. Una fiumana di popolo fece scorta alla bara di Don Orione prima all’Istituto di Via Bosco[18] e quindi al Paverano.[19] Qui la ressa era tale e tanta che si temette persino potessero capitare gravi disgrazie. Migliaia di persone erano da tempo in attesa. Giunse il convoglio, seguito da tutta la folla raccolta lungo il tragitto. Ricordo che io stesso – è Zambarbieri che racconta - rimasi nella calca e non avendo potuto entrare subito insieme coi sacerdoti che recavano la bara perché tagliato fuori da una ondata di gente, dovetti con pazienza aspettare il mio turno. Il cancello si apriva di tanto in tanto, ad intervalli abbastanza lunghi, e i vigili lasciavano passare un certo numero di persone, contenendo a gran fatica l’impeto che minacciò ad un certo momento di scardinare lo stesso cancello”.
Il corteo giunse al Paverano poco dopo le 17. La chiesetta, nuda e senza un fiore, era gremita di benefattori del Piccolo Cottolengo Genovese e di personalità. Il cardinale arcivescovo Pietro Boetto, in semplice cotta e stola nera, si portò all’ingresso per ricevere la salma di Don Orione e recitare le preghiere rituali. Lo accompagnavano mons. Canessa e mons. Lagomarsino. La bara fu deposta al centro della navata, su una predella rialzata.
All’interno del Paverano, sede del Piccolo Cottolengo Genovese, furono disposti steccati per contenere i visitatori che dovevano attendere per molto tempo prima di poter accedere alla chiesa. Quella fiumana di popolo durò, ininterrottamente, fin verso la mezzanotte; fu uno spettacolo davvero impressionante.
Fu l’ultima notte genovese di Don Orione, notte di veglia e di preghiera per tanti.
16 marzo: nella chiesa del Gesù, il saluto dei Genovesi.
Don Sterpi, al mattino del 16 marzo, era ancora convinto che il feretro con il corpo di Don Orione partisse per Tortona. Modesto Schiro, era presente alla conversazione, nella direzione del Paverano, tra don Sterpi e l’abate Caronti, che coordinava con l’Autorità di Visitatore Apostolico quanto era riferito ai funerali.
“Diceva l’abate Caronti: Dobbiamo portare Don Orione anche a Milano.
E don Sterpi: E allora, quando andrà a Tortona? Quando potranno vederlo per l'ultima volta i suoi figli che l'attendono là.
L’Abate: Beh, sarà la differenza di un giorno.
Don Sterpi insisteva e affacciava difficoltà.
Ma l'Abate: Passeremo da Novi, da Alessandria, da Mortara…”.
Si vede che aveva già studiato la cosa. Fece una piccola pausa; poi disse la frase che tanto m'impressionò:
Ora comincio a conoscere chi era Don Orione”.[20]
La mattina del 16 marzo, alle ore 7, il feretro con la salma di Don Orione si mosse dal Paverano verso la chiesa di Sant’Ambrogio, seguito da una folla enorme in corteo. Lungo tutto il percorso c’era un’ala reverente di popolo. Dalle finestre buttavano fiori sulla sua bara.
“Ovunque erano fitti nuclei di persone in attesa – ricorda Zambarbieri - e operai che alzavano il braccio in segno di saluto, scolaresche, umili donne del popolo che piangevano, si segnavano; mamme che facevano mandare dai loro bambini un bacio verso la bara. Ed era una voce sola: ‘Passa un santo. Passa un santo’. Ricordo l’accorato grido di un vecchio ‘Oh, potessi farti risorgere!’”.
Al Largo Archimede, molti operai erano in attesa, prima di recarsi al lavoro: hanno tardato per vederlo passare, come a esserne benedetti. Salutavano commossi e riverenti. Le strade, invase dalla folla, non permettevano alcun passaggio di auto o tram.
Il corteo percorse le vie principali, Via XX Settembre, poi piazza De Ferrari per giungere alla chiesa del Gesù. La folla presto invase il tempio, incapace di contenerla. Nel presbiterio, inginocchiato, c’era già il Cardinale arcivescovo che,[21] dopo le prime preghiere di accoglienza, salì all’altare iniziando la Santa Messa.
Prima di procedere alle esequie conclusive, il card. Pietro Boetto, con a lato i due Vescovi orionini, e i chierici del Seminario, rivolge, fra le lacrime, il discorso di addio al «carissimo Padre».
“Vi sono dei momenti nei quali le condoglianze sembrano una profanazione. Abbiamo dei trapassi i quali non sono soltanto di lutto. Non è la morte ma è il trionfo.
Ciò si verifica con la scomparsa del nostro indimenticabile Don Orione, anima grande generosa veramente di Dio. Certo i suoi figli diletti lo piangono a calde lacrime; e hanno ragione. Hanno perduto il loro padre, quel cuore tanto generoso. Lo piangiamo anche noi, che abbiamo ammirato il grande bene da lui compiuto. Ma il pianto non è senza conforto.
C'è nel Vangelo una pagina, la quale ci descrive l'accoglienza che il Redentore ha fatto al nostro caro sacerdote. Nel Vangelo è detto che quando uno si presenta al tribunale di Dio viene interrogato sulle opere di misericordia che egli ha compiuto. Gesù dirà: «Io ero povero e tu mi soccorresti; ero ignudo e mi ha rivestito; ero affamato e mi hai sfamato; ero cieco e tu mi fosti luce; ero zoppo e mi hai sostenuto; ero diseredato e mi ha fatto tuo figlio». Questo è quanto Gesù ha detto all'anima grande di Don Orione. E la conseguenza: «Entra, o figlio mio, nel Paradiso che è stato preparato per te». Questo pensiero asciuga le nostre lacrime, conforta il nostro cuore: quest'anima generosa gode il premio di quanto ha meritato su questa terra”.[22]
Al termine del rito, due piccoli orfanelli di Don Orione si avvicinano alle autorità e ai sacerdoti per offrire loro una cartolina con l’immagine del Padre.
Il popolo si riversa nella piazza, il corteo si riordina.
Lo squillo a morto delle campane del Carmine interpretano la voce di tutti; le strade, chiuse al traffico, sono silenziose. In piazza della Nunziata la folla è più densa e sull’ampia scalinata del Tempio ci sono scolaresche in attesa di fare omaggio reverente. Il popolo piange e saluta. Lungo Via Fontane sono schierate dodici classi del Liceo-Ginnasio Cristoforo Colombo. Per Porte di Vacca si prende poi via Carlo Alberto, via Adua, via Milano e quindi avanti fino al piazzale della strada Camionale.[23]
A Novi Ligure, ad Alessandria, passando per i paesi della Lomellina.
Erano le undici circa quando il carro funebre lasciò la spianata, all’inizio della Camionale per Novi Ligure, prendendo velocità.
“Per la strada incontrammo spesso della gente che si metteva in ginocchio. A Busalla c’erano, col popolo, tre sacerdoti. All’altezza di Vignole Borbera e di Arquata l’auto sostò, e così a Serravalle, per ricevere l’omaggio dei parroci, delle autorità e delle scuole. Da Vignole erano scese anche le suore Salesiane con le alunne del loro convitto.
Si giunse a Novi Ligure con anticipo sull’ora prevista e non c’era folla ad attendere il convoglio. La salma, ricevuta dai convittori del Collegio S. Giorgio, subito accorsi, ricevette il primo saluto dai malati dell’Ospedale. Appena la notizia dell’arrivo si sparse – si era sul mezzogiorno – la cittadinanza si riversò verso la chiesa del Collegio dove la salma era stata collocata e dove ricevette l’omaggio di tutte le autorità cittadine.
Formatosi quindi il corteo, la bara veniva trasportata a braccia dai convittori nella chiesa Collegiata per le solenni esequie, quindi scortata da ogni ordine di autorità e rappresentanze, fu portata a spalle dai giovani attraverso la via Girardengo verso porta Bozzolo.[24] Dietro la bara c’era il gonfalone del Municipio col podestà cav. Pallavidino, il Capitano dei Carabinieri Tergolina, membri del P.N.F. con fiamma. Seguiva una marea di gente, professionisti, lavoratori, operai delle fabbriche, professori, ex alunni del S. Giorgio, pensionati, signore, donne del popolo. Tutta Novi era accanto a Don Orione, ed io che conoscevo bene l’ambiente della città, piuttosto fredda ed apatica, non sapevo quasi credere ai miei occhi nel vedere un concorso così imponente, caldo, affettuoso, attorno alla salma del venerato Fondatore”.[25]
Il carro funebre riprese il suo percorso e, lasciata Novi, fu fatto segno di manifestazioni di omaggio a Pozzolo Formigaro, dove attendevano parroci e popolazione. Fece sosta nuovamente ad Alessandria, davanti all’Istituto delle Suore della Madre Michel, presso il quale si erano raccolti il Vescovo che presiedette una liturgia di commiato con il clero della città, rappresentanze civili, gli orfanelli dell’Istituto Don Orione, i chierici del seminario e molta folla.
In tutta la Lomellina si ripeterono scene di pietà e devozione. La gente correva dai campi, si inginocchiava, pregava. A Mede c’era tutto il paese che aspettava in strada da più ore. Il parroco, interprete dei sentimenti di tutti, parlò accanto alla bara di Don Orione con accenti che salivano dal cuore, invocando, attraverso il patrocinio di Don Orione, pace e carità. Poi baciò la bara per tutta la popolazione, gridando: “Don Orione, anima grande, ricordati di noi presso Dio!”. La gente fece eco con degli “Evviva Don Orione!”.
“Non l’incontro con la salma di un morto pareva quello, ma con le reliquie di un Santo. Fra Mede e Lomello veniva portato il primo saluto di Milano, da uno dei più insigni benefattori del Piccolo Cottolengo, il sig. Giannino Bassetti, che recò un biglietto di don Fausto Cappelli con la preghiera, da parte del Cardinale arcivescovo, di essere al Restocco[26] per le ore 18.
A Lomello, l’intera popolazione si accalcò attorno all’autofurgone, tutti con le braccia tese a toccare la bara. Lo stesso a Rinasco, dove sono convenuti anche i bambini della prima Comunione e i fedeli di Mezzana Rabattoni, dopo aver fatto parecchi chilometri a piedi, pregando, per poter assistere al passaggio di Don Orione. In tutta questa zona Don Orione era venuto a predicare le Missioni e il ricordo del bene seminato era vivo.
All’ingresso di Pavia, si unì un corteo di auto dei benefattori ed amici di Milano per fare scorta d’onore, ma il corteo di centinaia di auto non entrò in città.
A Milano, tra pianto ed esultanza.
Il carro funebre giunse a Milano e, passando per Piazzale Tripoli, entrò nel cortile del Restocco, sede del Piccolo Cottolengo Milanese, alle 18.15. Era ad attenderlo il cardinale arcivescovo Ildefonso Schuster, che tanto amava e ammirava Don Orione; si inginocchiò in terra a mani giunte, le lacrime agli occhi, sostando a lungo in preghiera. Nella chiesa del Piccolo Cottolengo, egli celebrò l’Ufficio dei Defunti davanti alla bara attorniata dai ricoverati e ammalati della casa. La commozione era nel cuore di tutti.
Giunse il momento del distacco. Era ormai notte. Un grande carro funebre messo a disposizione dal Comune attendeva. Un gruppo di sacerdoti sollevò la bara portandola all’esterno di quella chiesa cara a Don Orione.
Rimase famoso un episodio di questa sosta della salma al Piccolo Cottolengo. Fu riferito dalla superiora, Suor Maria della Croce Manente: “Ero presente un giorno in cui una povera donna venne a cercare di Don Orione. Aveva con sé un bambino muto dalla nascita e desiderava una benedizione di Don Orione su di lui nella speranza che il bambino potesse acquistare l'uso della parola. Don Orione accondiscese ben volentieri al desiderio di quella madre e, dopo averlo benedetto, le disse: «Stia tranquilla: il bambino parlerà». Poi rivolgendosi al bambino: «E tu, bambino, verrai sulla mia tomba a recitare una preghiera». Quando la salma di Don Orione giunse al Cottolengo, quel bambino, che si trovava presente, chiamò subito: «Mamma! mamma!» e segui con la mamma la salma fino a Tortona”.[27]
Il percorso della salma di Don Orione dal Piccolo Cottolengo – ove si era addensata una folla enorme – alla Basilica di santo Stefano fu una cosa che scosse tutta Milano.
“Nessuno di noi - riferisce Zambarbieri - avrebbe immaginato un tributo di omaggio così maestoso. Oltre duecento macchine accompagnavano il carro di prima classe offerto dal Comune, e un nugolo di biciclette senza fine. Si passò nel cuore di Milano (corso Magenta, via Dante, via Orefici, piazza Duomo) e il traffico della grande metropoli dovette necessariamente arrestarsi per un buon tratto di tempo. Io feci quella sera il tragitto a piedi, dal piazzale Tripoli alla Piazza Santo Stefano e potei così raccogliere, a pochi minuti dal passaggio del magnifico corteo, l’eco vastissima dell’impressione suscitata.[28]
Ovunque si parlava di Don Orione, si commentava quell’accompagnamento veramente regale, si sottolineava, con evidente simpatia, la esaltazione così spontanea e sentita, dell’umile apostolo della carità. E a me veniva da pensare che era certo stata la Provvidenza del Signore a disporre quello splendido tributo d’amore alla salma benedetta affinché, come Sanremo, anche Milano ne avesse una scossa salutare. E così l’apostolato di bene di Don Orione continuava anche dopo la sua morte”.[29]
La basilica di santo Stefano era gremita e la gente urgeva da ogni parte. Tutti volevano toccare la bara, portar via qualche cosa a ricordo di Don Orione. Centinaia di braccia che si sporgevano con una corona, una immagine, un indumento. Era un continuo passamano di oggetti perché fossero toccati alla bara.
Poco dopo le 21,30 il portone centrale della Basilica si spalancò: la folla si divise in due, lasciando un corridoio libero. Venne avanti un distinto signore vestito in nero che si è inginocchiato accanto al tumulo e ha sostato a lungo in preghiera; era Sua Altezza Reale il Duca di Bergamo.
Fino alla mezzanotte fu un continuo concorso di gente. Il prevosto, mons. Pietro Gorla, fu costretto a insistere ripetutamente per invitare la gente a uscire dalla chiesa. Nella notte, la bara fu aperta per una ricognizione.[30]
17 marzo: dopo la celebrazione, le ultime tappe a Montebello, Voghera, Pontecurone.
A Milano, la domenica delle Palme, 17 marzo, la Basilica di santo Stefano venne riaperta nelle prime ore del mattino e, ai 20 altari, si succedettero le Messe di confratelli ed altri sacerdoti, mentre riprese a crescere il pio pellegrinaggio dei fedeli. Alle ore 7, per soddisfare al desiderio della folla, il coperchio della bara venne tolto e la salma di Don Orione apparve visibile attraverso il cristallo. Fu un momento di grande commozione per tutti.
Il solenne funerale fu celebrato da mons. Pietro Gorla, prevosto della Basilica di santo Stefano e devoto amico di Don Orione. Modesto Schiro assistette a una scena: “Mons. Gorla distribuì ai presenti cartoline con il ritratto di Don Orione. Pregato da alcuni nostri religiosi di cessare la distribuzione, Monsignor Gorla scattò: «Io lo conosco bene Don Orione: è un santo!» e continuò a distribuire le immagini”.[31]
Su richiesta del cappellano dell'Ospedale maggiore, la salma fu trasportata nel cortile interno più vasto perché i malati potessero avere la gioia di vedere, attraverso il cristallo, le venerate sembianze di Don Orione.
“Ricordo – narra Zambarbieri - la scena che si svolse nel cortile centrale dell’Ospedale Maggiore, dopo la solenne funzione funebre. La folla che aveva seguito dalla Basilica, riuscì, in via Adua, a rompere i cordoni e invase il cortile centrale dell’Ospedale dove la bara era stata trasportata a spalla. Molte delle persone recavano dei rami di ulivo ed incominciarono ad agitarli, in segno di omaggio, mentre la bara, infiorata dai malati, percorreva i quattro lati del cortile rompendosi a stento un varco tra la moltitudine. Veniva da pensare a Gesù benedetto, la Domenica delle Palme. Dall’alto delle logge bramantesche, i degenti contemplavano commossi e confortati”.
Ricevuta la benedizione del Priore e l’omaggio del Consiglio Ospitaliero, verso mezzogiorno, tra lacrime, applausi, agitare di fazzoletti ed ‘Evviva Don Orione’ da parte della folla, il corteo con il corpo di Don Orione partì alla volta di Tortona.
Il corteo di macchine sostò a Montebello. I chierici del seminario erano scesi nella strada principale e scortarono la bara verso la chiesetta dell’Istituto. Qui, don Sterpi diede la benedizione e la bara venne scoperta. Per due ore, ricevette il bacio e l’omaggio reverente della folla accorsa in gran numero, non soltanto da Montebello, ma dai paesi dell’Oltrepò pavese, soprattutto da Casteggio e Fumo.
Un’altra sosta fu fatta a Voghera, alle 15, per permettere la manifestazione di affetto del popolo tra cui Don Orione era molto conosciuto e amato. La bara fu portata sulle spalle in corteo alla chiesa orionina di San Pietro e di qui, dopo una solenne preghiera, fu accompagnata processionalmente al duomo di S. Lorenzo già affollato all’inverosimile. In molti notarono che la lunga teoria di cotte bianche dei numerosi chierici orionini e dei sacerdoti che accompagnavano il feretro faceva ricordare il famoso sogno di Luigi Orione tredicenne nel conventino dei Frati di Voghera.[32] Toccò all’arciprete don Giovanni Biscaldi presiedere le esequie. Il carro funebre percorse ancora lentamente il breve tratto di via Emilia fino in piazza Meardi dove, dopo l’ultimo saluto dei vogheresi, riprendeva la sua corsa.
Si giunse a Pontecurone, il paese natale di Don Orione, tutto riversato nelle vie, in devota attesa del passaggio del corteo. La bara fu portata nella chiesa di Santa Maria Assunta, chiesa del battesimo di Don Orione, salutata dal vescovo diocesano mons. Egisto Melchiori. Vincendo a stento la commozione, il Vescovo invitò tutti a meditare “quale fecondità di opere sante era scaturita dall’acqua battesimale” ed esortò tutti “a far sì che dall’omaggio e dalla venerazione al grande scomparso abbia a cominciare per ciascuno una vita tutta informata alla virtù”.
Stava per concludersi, con l’ultima tappa da Pontecurone e Tortona, quel tour de gloire. “Io ebbi il piacere di accompagnare la salma nella lunga peregrinazione – scrisse mons. Cribellati - e confesso candidamente di non saper riferire convenientemente quanto in quel tragitto si è operato. Folle immense di fedeli, delirio di popolo, dimostrazioni imponenti, spesse volte il corteo dovette arrestarsi”.
Tortona accoglie il suo santo figlio e padre.
A Tortona si giunse sull'imbrunire. L’attesa della città era stata preparata dall’eco delle manifestazioni di fede e di esaltazione che circondarono il passaggio di Don Orione durante il suo viaggio.
A Tortona, c’era la città e la Congregazione orionina convenuta da tutta Italia per accogliere ed accompagnare la venerata salma al Santuario della Madonna della Guardia per la sepoltura. Molta gente veniva dal vasto circondario ove Don Orione era conosciuto personalmente; molti l’avevano visto celebrare, ascoltato predicare, gli avevano dato una “pentola rotta” per la statua della Madonna; ciascuno portava un episodio da condividere.
Alle 17.30 il corteo, composto da una interminabile scorta di automobili, era alle porte di Tortona. L’accoglienza fu meravigliosa. Giunti a Porta Voghera, ai limiti della città, si incontrava tale moltitudine di popolo con le autorità, che si dovette mutare programma perché il carro funebre non poteva proseguire fino alla chiesa di San Michele, come previsto.
“Il carro sostò proprio davanti al portone della villa del signor Paolo Pedevilla – osserva Modesto Schiro -, quel benefattore al quale Don Orione, il 12 marzo, nel salutarlo aveva detto: “lo assicuro che, appena a Tortona, il primo che andrò a visitare sarà lui”. Pedevilla uscì dalla sua casa per accoglierlo. Fu così il primo tortonese a ricevere la visita di Don Orione, come questi gli aveva promesso. Pedevilla piangeva. Baciò la bara, si fece il segno della croce, pregò. Intanto, tutto intorno si faceva una gran ressa. Toccavano al carro, al feretro corone, oggetti sacri. Baciavano la bara. Era una calca indescrivibile”.
“La città di Tortona non dimenticherà mai l'arrivo della salma di Don Orione in quella domenica delle Palme – osservò mons. Felice Cribellati -. «Non voglio morire fra le palme di Sanremo», aveva detto; e la città del suo amore e del suo pianto lo accoglieva in trionfo proprio il giorno delle Palme”.[33]
A San Michele, la salma rimase esposta fino a tarda notte alla venerazione dei fedeli. Alle 22.30, fu portata nella Cappella del Paterno dove i suoi figli vegliarono tutta la notte in preghiera. Al feretro fu tolto il coperchio di legno per permettere a tutti di poter osservare per un'ultima volta le sembianze di Don Orione.[34]
18 marzo: i solenni funerali nella cattedrale di Tortona.
Alle 4 del mattino, iniziano le Messe nella Cappella del Paterno, celebrate da don Sterpi, dall’abate Caronti, dal canonico Arturo Perduca. Quel luogo che giustamente è considerato la culla spirituale della Congregazione. Qui, Don Orione, nella consuetudine della preghiera comunitaria, delle celebrazioni, delle meditazioni e delle Buone Notti aveva trasmesso il suo spirito a tanti figli. Alle 5.30, la bara viene riportata nella chiesa di San Michele. Ancora Sante Messe a tutti gli altari. Tante persone vi giungono convocate dall’affetto per Don Orione.
Verso le 7, le Spoglie mortali vengono portate nella cattedrale di Tortona.[35] La cattedrale, la piazza e le vie limitrofe sono accalcate di folla. Ci sono i gonfaloni dei comuni tortonesi, autorità civili locali e nazionali, il clero della Diocesi e uno stuolo numeroso di figli e figlie dell’apostolo della carità: religiosi e suore, sacerdoti, eremiti, sacramentine cieche, seminaristi e chierici, amici, benefattori, allievi delle scuole e buonifigli dei Piccolo Cottolengo, tutti a salutare il padre e, come si sussurra, il santo.
La celebrazione inizia alle 9, presieduta dal vescovo diocesano mons. Egisto Melchiori.[36] I chierici di Don Orione cantano la Messa da requiem a tre voci pari del maestro Lorenzo Perosi. Nell’elogio funebre, il Vescovo con rapidi cenni presenta la vita e la spiritualità di Don Orione.
“Carità veramente universale quella di Don Orione - osservò il Vescovo -, non solo perché si estendeva a tutte le miserie, ad ogni bisogno e ad ogni classe, ma perché abbracciava tutto l'uomo, nel corpo e nell'anima, nella vita del tempo e in quella dell'eternità. Carità universale che era conseguenza della carità verso Dio, dinanzi al quale egli scompariva in una immolazione totale ed in una dedizione eroica: “Morire a noi stessi - sono sue parole - per vivere a Cristo: fare della vita un olocausto di amore a Dio e agli uomini nelle mani di Maria, questa sia la nostra vita. E questa è stata veramente la vita di Don Orione”. E concluse: “Ora Tortona e che fu culla ha la gloria di custodire la tua Tomba e di concludere il viaggio trionfale della tua Salma che da Sanremo a Genova a Milano ha avuto un'apoteosi che è il compimento della parola divina ‘exaltavit humiles’. Gradisci, o Padre, l'omaggio riconoscente della terra del tuo battesimo, del tuo sacerdozio, dei tuoi primi ardimenti, centro propulsore di ogni tua attività. (…) E noi, dinanzi a questa Salma venerata, stabiliamo il proposito di raccogliere l'ispirato invito che ci rivolse un giorno: ‘Tortona, cara città diletta, città del mio pianto e del mio amore, sii sempre più degna di Dio, d'Italia e della Chiesa’” .[37]
Terminata la celebrazione, lentamente e pazientemente, la marea di gente riprende corso come di fiume verso il rione San Bernardino, accompagnando le spoglie mortali di Don Orione al santuario della Madonna della Guardia. Il carro funebre, trainato da quattro cavalli nobilmente bardati e scortato da un picchetto di carabinieri in alta uniforme, procede tra due fitte ali di popolo orante durante i due chilometri di percorso. I più, al passaggio, si inginocchiano e fanno il segno della croce.
Sfilano in corteo tutte le rappresentanze delle istituzioni caritative, educative e civili della città. Moltissime le Congregazioni religiose rappresentate e unite al dolore dei Figli della Divina Provvidenza e alle Piccole Suore Missionarie della Carità.
Giunti al santuario della Madonna della Guardia, il podestà di Tortona Moccagatta leva la propria voce nel silenzio, voce di ammirazione e di cordoglio, di invocazione e di presagio.
Finalmente, la salma entra nel santuario. Qui rimane esposta fino a notte inoltrata di quel lunedì 18 marzo, visitata in continuazione dalla popolazione.[38]
19 marzo: “Te Christus in pace”, la tumulazione nella cripta del santuario della Madonna della Guardia.
Al mattino, vi fu un’ultima solenne celebrazione nel santuario. Nel pomeriggio, alle 15.30, il santuario è chiuso ai fedeli. Per l’ultimo saluto al Padre restano solo i religiosi, figli e figlie spirituali di Don Orione, stretti attorno a don Carlo Sterpi e all’abate Emanuele Caronti. Dopo il canto dei Vespri dei Defunti e la benedizione impartita da don Carlo Pensa, tutti i presenti sfilano, a uno a uno, e si chinano sulla bara per un ultimo atto di amore e di dolore, dandovi il bacio dell’addio.
In corteo, la Famiglia Orionina, scende in cripta. A sinistra, in fondo, era stato preparato il sepolcro. Ancora una preghiera e la benedizione alla bara e poi questa viene calata nel sepolcro appositamente disposto. L’atto è accompagnato dalla commozione e dal pianto di tutti, che solo a stento viene superato unendosi nel canto che Don Orione aveva insegnato come cantico della carità fraterna, intonato in tutte le riunioni dei confratelli prima di dividersi: «Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum».
“La salma venne inumata nella cripta del santuario di Nostra Signora della Guardia in Tortona. La bara fu deposta in un sepolcro provvisorio, che in seguito fu ricoperto di pietra e di granito di Baveno. La iscrizione posta sulla lapide anteriore fu dettata dall'abate Caronti e suona così:
Sac. Aloisius Orione. Te Christus in pace.
23 giugno 1972 - 12 marzo 1940”.[39]
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[1] In archivio, c’è la testimonianza del Dott. Giuseppe Panizzi (Via Roma 12, San Remo), in una lettera a Don Orlandi del 11.10.1949: “Egli era già in coma e morì dopo pochi istanti. Il trapasso è stato sereno e quale desidererebbe ogni buon cristiano”; ADO, P.8.VI.
[2] La sacrestana, Suor Maria Teresa Wasescha, conferma “Presi in fretta l’amitto, camice, cingolo e pianeta violacea nuova, che aveva indossata la Domenica di Passione. Lo trovai steso a letto, con la veste talare. Non l’hanno cambiato, l’hanno lasciato come lo hanno trovato. Ci siamo messi a vestirlo. Suor Maria Rosaria vicina al comò, Modesto vicino al comodino ed io vicino a Don Orione. Il canonico Cazzaniga, ai piedi del letto, aveva asperso con l’acqua benedetta. Gli abbiamo indossato il camice e la pianeta. Quando giungemmo le mani per mettergli la corona e il Crocifisso non riuscivamo a tenerle congiunte. Le abbiamo allora legate con una fettuccia bianca, al di sopra del gomito”; ADO, cart. Wasescha.
[3] Testimonianza di Suor Maria Teresa Wasescha.
[4] La foto di Don Sterpi, inginocchiato davanti al corpo senza vita di Don Orione, è l’icona dell’atteggiamento di tutta la Congregazione di fronte alla morte di Don Orione: sofferenza e già venerazione di santo.
[5] Zambarbieri assicura che “testamenti e disposizioni ultime di Don Orione io non ho mai viste. Nei mesi che rimasi accanto al venerato Fondatore ho avuto tra le mie mani tutte le sue carte, per l’ufficio che mi aveva affidato, anche le più intime e riservate. Non ho mai trovato nessun testamento suo, né mai il Fondatore me ne ha mai fatto parola, neppure negli ultimi giorni di sua vita, passati accanto a lui, si può dire senza muovermi”.
[6] In questa lettera al canonico Arturo Perduca, del 4 dicembre 1934, scrive ancora: “Ho chiesto il minimo che potessi chiedere… Io non ho chiesto che facesse processi né che alcuno dovesse restare umiliato. Ho perdonato a tutti, amo tutti, vorrei dare la vita per tutti. Ho chiesto alla mia Chiesa e al mio Vescovo una parola - non mi fu detta: sia fatta la volontà di Dio!”. Si veda la testimonianza di Don Arturo Perduca in Positio, p. 80-83.
[7] Don Carlo Sterpi conferma: “Io poi, in seguito alle insistenze manifestate da molte parti, ed anche perché nel frattempo si era rilasciata da parte di chi si credeva fosse autore della calunnia, una dichiarazione nel senso che si desiderava, permisi che il corpo fosse sepolto a Tortona, nel Santuario della Guardia a San Bernardino”; Positio, p. 30.
[8] Giungono il Principe Boncompagni Ludovisi ex Governatore di Roma, il Podestà di Tortona, il Presidente della Provincia di Alessandria, Mons. Luigi Moneta Direttore dell’Ospizio della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, e vari amici e sostenitori come l’ing. Filiberto Guala di Savona, il gen. Ruggero Bracco il gen. Tamagno, il prof. Antonio Boggiano Pico, il prof. Carlo Castello, il comm. Carlo Grossi presidente dell’Associazione Nazionale ex Allievi di Don Orione, il prof. Riccardo Moretti, il Grand’Uff. Achille Malcovati e molti altri.
[9] Positio, p. 603. “A Sanremo la vigilia del funerale venne lo scultore Pasquali a rilevare la maschera del Servo di Dio”; testimonianza di Don Domenico Sparpaglione; Positio, p. 439.
[10] “Martedì alle 23.00, sorpreso da un violentissimo attacco del male che ne minava l'organismo, mentre il cuore dei figli che già avevano trepidato, s'apriva alla fiducia che il Signore lo dovesse lasciare ancora in mezzo a loro, umile ed infaticabile Apostolo di Carità, chiudeva serenamente la sua laboriosa esistenza terrena nella Casa di Santa Clotilde in San Remo, il venerato Padre e Fondatore DON LUIGI ORIONE.
I figli della Piccola Opera della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità stretti con affettuosa commozione attorno al Rev.mo P. l'abate Caronti, Visitatore Apostolico, a D. Carlo Sterpi, Vicario della Piccola Opera, e a tutti i Parenti, ne danno la dolorosa partecipazione ai Benefattori, alle Benefattrici, agli Amici, agli Ex Allievi, ai conoscenti, alle migliaia di Beneficati nelle Sue Istituzioni di Carità, con quello strazio che solo trova conforto nella fede e nella preghiera.
La cara salma - dopo una funzione di suffragio che celebrerà S. E. Rev.ma Monsignor Rousset a Sanremo, venerdì alle 9.00 - verrà fatta proseguire per Genova ove sarà esposta nella Chiesa del Piccolo Cottolengo di Paverano. I funerali solenni si svolgeranno a Tortona lunedì p.v. alle 9.00. San Remo, lì 13 Marzo 1940 – XVIII”; ADO, cart. Morte di Don Orione.
[11] Tra i tanti articoli segnaliamo: “La morte di Don Orione”, L’Osservatore Romano, 14 marzo 1940, 5; Il lutto del ‘Piccolo Cottolengo’ per la morte di Don Orione, “L’Osservatore Romano”, 15 marzo 1940, 2.
[12] Sono conservati i telegrammi dei cardinali Carlo Salotti, Eugenio Tisserant, Pietro Boetto di Genova, Adeodato Piazza di Venezia, Ildefonso Schuster di Milano, Maurilio Fossati di Torino, Nasalli Rocca di Bologna, Luigi Lavitrano di Palermo. Augusto Hlond, primate di Polonia, scrisse: “Don Orione fu un santo, un santo nello stretto senso della parola, un santo da canonizzarsi presto. Mi raccomando alla sua intercessione”. Numerosi Vescovi che hanno conosciuto personalmente lui e la sua Piccola Opera hanno espressioni che concorrono a delinearne l’eminente personalità; una parola su tutte emerge e si ripete: santo”. Don Giovanni Calabria, anche lui proclamato poi “santo”, scrive: “Acquistiamo un patrono nella patria colui che piangiamo nell'esilio. Ho l'intima convinzione di un uomo di Dio, di un vero servo del Signore, di un'anima che può ben essere proposta a modello e ad esempio non solo dei suoi figli ma di tutti i cristiani e specie dei sacerdoti. Questi santi sono le lampade che la misericordia del Signore accende nelle tenebre di questo povero mondo per illuminare con luce vera gli uomini”; ADO, cartella Morte di Don Orione.
[13] Il medesimo fatto fu raccontato anche da Don Sterpi qualche tempo dopo, nel 1942: “Quando mi hanno telefonato da Milano a Sanremo, ho risposto a Don Capelli: Ma voi siete matti! E invece erano tutti d'accordo: Prefetto, Cardinale... Poi, c'era il Visitatore, e meno male che c'era! È stato provvidenziale che ci fosse, ci ha liberato da tante responsabilità. L'abbiamo portato via da Sanremo senza chiedere alcun permesso, presenti i Prefetti, Podestà, e tutti persuasi che doveva essere così, che non si poteva né si doveva fare diversamente. Amici e non amici, tutti sbalorditi. Nessuno ha mosso difficoltà. Le pratiche si sono fatte poi, quando ormai tutto era già stato fatto. Ma fu lui, Don Orione, a far tutto dal cielo”; ADO, cart. Orlandi, 1942.
[14] Furono il conte Giannino Bassetti, donna Camilla Sassi e la contessa Antonia Caccia che, accompagnati da Don Fausto Capelli, si presentarono al cardinal Schuster di Milano. “Esposto a lui il desiderio che da più parti si era manifestato di poter avere a Milano, anche per breve tempo la salma di Don Orione – raccontò poi Giannino Bassetti -, lo preghiamo di voler fare qualcosa perché quel desiderio fosse realizzato. Anche il Cardinale non mancò di farci presente che la cosa gli sembrava impossibile, tuttavia ci consigliò di farci rilasciare dal parroco la domanda scritta. Avutala, ritornammo dal Cardinale, il quale appose alla lettera il suo nullaosta e la sua approvazione. Ci affrettammo a portare quella lettera in Prefettura e bastò il nullaosta del Cardinale per avere il permesso desiderato”; ADO, cart. Zambarbieri.
[15] Positio, p. 59-60.
[16] “Terminata la Messa – osserva Don Giovanni Venturelli - le corone di fiori sono prese d’assalto dalla folla, che vuole reliquie; sono asportate persino le cannucce”.
[17] Per un resoconto riassuntivo delle onoranze funebri rese a Don Orione, si veda Ernesto Badino [e. b.], Dalle palme di San Remo alla pace del suo Santuario, “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, marzo-aprile 1940, 9-23.
[18] Fu la prima sede del Piccolo Cottolengo Genovese.
[19] Era la sede centrale del Piccolo Cottolengo Genovese
[20] ADO, cart. Schiro e anche Positio, p. 604.
[21] Ai suoi lati assistono il Rettore del Seminario Don Corsellini e Don Giacomo Storace. Dirige la cerimonia Mons. Silvio Nincisio. Entra la venerata Salma, in un fervore di preghiere, e vien collocata nel centro della navata principale. Ai due lati sono le autorità, intorno Parroci d’ogni parte della Diocesi, Sacerdoti, Congregazioni maschili e femminili, Associazioni, Collegi, Istituti.
[22] Riportato in La Piccola Opera, marzo-aprile 1940, p.25-26.
[23] Anche il vescovo Cribellati rimase impressionato: “Tutta Genova, al passaggio della salma, che da Paverano, vale a dire oltre Brignole, veniva trasportata alla autostrada, fu tutta in piedi, le scuole sospendevano le lezioni, le fabbriche il lavoro ed i lavoratori, schierati al margine della strada, salutavano col pugno alzato”. Il giornale “Il Cittadino” pubblicava: E' morto il padre dei poveri; “L’Osservatore Romano”, Imponenza di commosse onoranze alla salma di Don Orione, 17 marzo 1940, 2.
[24] Zambarbieri è sempre ricco di dettagli nei suoi ricordi: “Apriva il corteo l’Orfanotrofio femminile con le Suore di San Vincenzo, seguivano le Piccole Italiane, l’Istituto Magistrale delle suore Pietrine, le Scuole elementari, il Regio Ginnasio-Liceo, il Regio Istituto di Avviamento Professionale, l’Istituto Agrario “G. Oneto”, il Collegio S. Giorgio, tutti con bandiere e gagliardetti. Venivano quindi i canonici del capitolo: Don Balduzzi della Collegiata, Don Motta di San Niccolò, Don Traverso di San Pietro, Don Lorenzini di S. Andrea, Don Massa dell’Istituto Oneto, Don Carbone cappellano dell’Ospedale, D. Remotti preside dell’Istituto Magistrale femminile, Don Casista”.
[25] Nella città erano affissi manifesti a lutto sia religiosi che civili; dappertutto c’erano bandiere a mezz’asta e grande folla.
[26] Fu il primo nucleo del Piccolo Cottolengo Milanese.
[27] Positio, p. 662.
[28] In piazzale Baracca, tanta era la ressa che si dovette collocare un cordone di agenti; in corso Magenta le spoglie di Don Orione ricevono l’omaggio devoto delle bambine dell’ Istituto di Nazaret e delle Stelline; più avanti, al Collegio San Carlo, riceve il saluto dei marinaretti e del Rettore del Collegio che benedice la salma. Fra continue preghiere e scene di commozione, le spoglie del Fondatore dei Figli della Divina Provvidenza passano per piazza Cordusio, via Orefici, piazza del Duomo, via Amba Alagi e fanno il loro trionfale ingresso in piazza santo Stefano illuminata da potenti riflettori”.
[29] Il contatto fisico della salma e del corteo che l’accompagnava permise di cogliere al vivo i sentimenti della gente. Mons. Cribellati ricorda: Io stesso ho sentito qualcuno che domandava «Ma chi è che è morto?». Rispondeva un altro: «Dicono che è morto un prete, grande benefattore del popolo».
[30] Modesto Schiro, nella testimonianza al processo di canonizzazione, informa: “A Milano aprimmo la cassa. Si era appannato il vetro e volemmo pulirlo. Forse era stato il calore interno. C’era Don Gismondi. Lo facemmo quando era in chiesa da Mons. Gorla: chiudemmo un momento la porta, verso le due, e pulimmo sicché si potesse vedere bene la Salma”. Giuseppe Zambarbieri aggiunge: “Una macchia, olivastra, era apparsa, mi pare, nell’orecchio destro, fin dalla sera del 14 marzo. Si mise su tutto il volto di Don Orione un fazzoletto inzuppato di aceto e la macchia non si allargò”. Circa l’intervento per la conservazione della salma in vista del lungo viaggio, riferisce: “Ho sentito che alla salma di Don Orione venne praticata una comune iniezione conservativa in vista del trasporto fino a Tortona. Non so né chi abbia fatto questa iniezione, né quale sostanza abbia usato. Questo ricordo benissimo che Don Sterpi era contrarissimo a chi si toccasse la salma di Don Orione ed aveva dato in tale senso disposizioni severissime”.
[31] Positio, p. 604.
[32] È uno degli episodi caratteristici della vocazione di Don Orione. Era giovane probando di 13 anni, nel convento francescano di Voghera, nel 1886, quando, ridotto in fin di vita da una polmonite, sognò una lunga schiera di chierici e sacerdoti in cotta bianchissima in processione. Parola III, 158-160.
[33] Positio, p.61.
[34] Positio, p. 605.
[35] Sulla facciata della Cattedrale c’era la seguente iscrizione: "Tortona tua / più grande per te e lodata / per quanto abbraccia mondo / la carità di Cristo / che Padre ti elesse degli umili / di te si esalta / DON LUIGI ORIONE / e in questo trionfo / di un pur doloroso ritorno / qui dove t’arse la fiamma / dei primi sogni / oggi in lutto t’accoglie / e con orgoglio amoroso di madre / Te o amato figlio consegna / alla gloria che vince la morte”.
[36] Sono presenti anche mons. Paolo Albera, vescovo di Mileto, mons. Felice Cribellati, vescovo di Nicotera e Tropea, mons. Mario Vianello, vescovo di Fidenza, mons. Sassi in rappresentanza del Vescovo di Alessandria, mons. Tassi e mons. Muzio, in rappresentanza del Vescovo di Bobbio; Don Pietro Tirone, catechista generale dei Salesiani e numerosi sacerdoti e religiosi.
[37] Il discorso completo è riportato in In memoria di Don Orione. Nel primo anniversario della sua santa morte, Tipografia Editrice Emiliana, Venezia, 1941, p. 19-25.
[38] Cinquantamila persone accompagnano a Tortona la salma di Don Orione, “L’Osservatore Romano”, 20-21 marzo 1940, 2.
[39] Testimonianza di Don Carlo Sterpi al Processo di canonizzazione di Don Orione; Positio, p.32. Don Bariani precisa: “La salma fu deposta in una tomba di forma rettangolare, preparata affrettatamente in semplice muratura e rivestita poi di granito, recante sulla parte anteriore la scritta dettata dal visitatore apostolico”.
A 25 anni dalla sepoltura, il 15 marzo 1965, si fece la riesumazione per la prevista ispezione canonica del Corpo di Don Orione da parte della Commissione a ciò deputata. Come risulta dagli atti ufficiali, stesi dai due periti medici, Dott. Osvaldo Zacchi e Dott. Agostino Massone, “Il corpo è in perfetto stato di conservazione, ben solido nelle varie parti che lo costituiscono, le quali sono saldamente unite fra loro presentando una limitata, ma possibile, elasticità nelle varie articolazioni. Appare il viso di un colorito roseo pallido, di aspetto sereno, quasi di persona dormiente. Ottimamente conservate le mani, di colorito brunastro chiaro. Liberato di ogni indumento se ne può confermare meglio lo stato di perfetta conservazione”; Archivio della Postulazione Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, cart. Ricognizione canonica del 1965.
Il Corpo venne rimesso nell’urna, in attesa del giorno della beatificazione, avvenuta poi il 26 ottobre 1980. Nella riesumazione del 1980, si constatò che era penetrata dell’acqua nell’urna, durante l’alluvione del 10 e 11 ottobre 1977 che invase la cripta del Santuario, compromettendo lo stato di conservazione del Corpo. Fu deciso di procedere al trattamento di mummificazione artificiale per salvaguardarlo nel futuro.
Oggi, il Corpo di Don Orione, proclamato “beato” il 26 ottobre 1980 e “santo” il 16 maggio 2004, può essere visto e onorato nell’urna in cristallo al Santuario della Madonna della Guardia di Tortona. Il “Cuore” fu conservato in un reliquiario a parte ed oggi è esposto nel Santuario di Claypole (Argentina). Per una ricostruzione delle tappe che hanno caratterizzato la conservazione del Corpo di Don Orione, si veda E. Fulcheri, Il santo corpo di Don Orione: testimone autentico e diretto, “Messaggi di Don Orione” 39 (2007), n. 124, p. 29-46; F. Peloso, La reliquia del cuore di Don Orione, “Messaggi di Don Orione” 33 (2001), n. 103, p. 73-80.