Una ricostruzione della protezione data ad Arrigo Minerbi dalla Congregazione orionina. Rapallo, Gavazzana, Tortona e Roma furono le tappe.
ARRIGO MINERBI
Il grande scultore fu salvato durante la tempesta della shoah.
Don Flavio Peloso
Per una prima conoscenza dello scultore Arrigo Minerbi,[1] nato a Ferrara nel 1881 e morto a Padova l’11 maggio 1960, possiamo iniziare con la lettura delle note autobiografiche, da lui stesso preparate nell’agosto 1932 per l’Agenzia Stefani.
«Sono il 6º di nove fratelli. Mio padre era un modestissimo negoziante di stoffe. Nessun precedente artistico nella famiglia. Infanzia serena, adolescenza pensosa, uguale senza scosse.
Fin dove giungono i miei ricordi, ho la creta e il gesso nelle mani.
Agli studi classici ho dovuto rinunciare per mancanza di mezzi. E per mancanza di mezzi ho rinunciato agli studi accademici.Fatti i primi corsi alla scuola d’arte e mestieri di Ferrara, mia città natale, partii per Firenze nel 1901 a 20 anni, senza un soldo. Ho fatto il ceramista, lo stuccatore, il modellatore ma non ho mai concesso alcuna dedizione al gusto del cliente o dei negozianti d’arte.
Per 15 anni ho lavorato da artigiano dedicando al mio sogno d’arte le poche ore libere delle mie giornate, e le mie notti. E solo nel 1919 feci la mia prima esposizione personale alla Galleria Pesaro di Milano.
E poiché nulla rimase delle mie opere giovanili, perché tutto, o quasi, fu da me distrutto, parve la mia, una rivelazione.
Dal 1919 a oggi ho esposto, in tutto, sette volte. Due a Milano, due a Ferrara, una volta a Firenze, una alla Biennale Veneziana, una a Bruxelles.
L’Autoritratto che è agli Uffizi è del 1915.
Del 1917 il Battisti del Museo di Trento.
Del 1918 il Mattino di Primavera della Galleria d’Arte Moderna di Roma e la Vittoria del Piave (Monumento ai Caduti di Ferrara).
L’Annunciazione per la raccolta Vercelli è del 1920. Del 1923 la Madre dei caduti a Bondeno. Del 1924 il Monumento ai Medici Italiani caduti in guerra, al Chiostro della Sanità Militare, a Firenze
Del 1926 il Santo Francesco che predica agli uccelli del Cimitero Monumentale di Milano. Dal 1926 al 1931 ho eseguito l’Ultima Cena per la raccolta Pasquinelli, La Maternità del monumento a Luigi Mangiagalli, la Dormiente del Campo Verano.
Sono membro onorario dell’Accademia di Brera dal 1920.
Per Sovrana concessione, Commendatore della Corona d’Italia dal 1924 con questa motivazione: «per avere il Minerbi concepito con nobiltà d’intendimenti e plasmato con rara perizia il Monumento eretto in Firenze ai Medici caduti in guerra, insigne opera d’arte destinata a tener vivo nelle future generazioni il culto della Patria e del Dovere.»
Lo scultore Arrigo Minerbi[2] fu uno dei più grandi scultori del Novecento. Espresse una scultura dello spirito: qualcosa di addolcito e di musicale nella materia, un virtuosismo tecnico notevole, l’abitudine a presentare con cura i volumi. Le sue opere sono presenti in piazze, chiese e musei di tante città italiane.
Egli entrò nell’orbita della Congregazione orionina per avere egli scolpito il “Don Orione morente”, un capolavoro in marmo bianco di Carrara, benedetto il 15 marzo 1942 dal beato arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster.[3] Il suo Don Orione morente (al Piccolo Cottolengo milanese in marmo e al Santuario della Madonna della Guardia a Tortona in bronzo) è considerato uno dei suoi massimi capolavori, unitamente alla statua di Maria regina dell’universo, posta sulla collina di Monte Mario benedicente su Roma.
Fu in occasione della scultura del Don Orione morente che Don Carlo Sterpi, superiore generale, lo conobbe e prese a benvolerlo. E quella benevolenza riconoscente portò Don Carlo Sterpi ad amarlo come un fratello e a proteggerlo durante le persecuzioni razziali che anche in Italia divennero oppressive ed omicide.
Arrigo Minerbi era ebreo e forse per la sua grande fama di scultore, anche dopo le leggi razziali del 1938, godette di una certa libertà.
Si trovava all’Aretusa di Rapallo nell’ottobre 1943, quando fu qui raggiunto da Don Sterpi. “Don Sterpi con quel suo tono dolce e commosso mi dice: professore, sarebbe bene che lei si allontanasse da Rapallo. Le cose si mettono male. Venga da noi sui colli di Tortona, la casetta dove sono nato è a sua disposizione. Non tema; ma non perda tempo. Venga lei intanto… Poi verrà la signora”.[4]
Dopo alcuni giorni, il 20 ottobre 1943, come Minerbi racconta, “Una vecchia Lancia Augusta scricchiolante, sofferente, ci porta a Gavazzana. La casa natia di Don Sterpi non è diversa dalle altre… A tutto sovrintende Carmelina, cugina di Don Sterpi. Un chierico atletico, muratore, elettricista, meccanico, accomoda, ricostruisce, riconnette le mura sconnesse e malconce. E l’uomo indispensabile per Cavazzana.
Sono qui da poche ore, ed ecco apparire Don Sterpi, colme le braccia di provviste, perché l’ospite non manchi di nulla. Due parole di raccomandazione, a voce bassa, a Carmelina, un buon sorriso a mia moglie e a me, ed eccolo attraversare la strada, a piccoli passi, e sparire giù, per un cortiletto angusto, nell’interno di una casetta rustica costruita a mezzo. Carmelina mi dice con un sorriso indulgente: «Va a visitare il suo tesoro». È una nidiata di orfani che ha portato quassù come per un nucleo di orfanotrofio suo. Quando esce, fioriscono intorno alla sua tonaca tante testoline, come pulcini intorno alla chioccia”.
Tutto procedeva in serena pace e nella vita semplice a Gavazzana, quando “il 3 dicembre 1943 – e ancora Minerbi raccontare – “Viene su Don Sterpi e mi dice: hanno individuato il suo rifugio. È prudente partire. Al tramonto manderò l’auto a prenderla. C’è il coprifuoco, ma la nostra macchina passerà! La condurremo poi dove vorrà. In Svizzera? A Roma? A Napoli? Lei deciderà. La signora può rimanere. Fidi nella provvidenza!”.
Alla sera, in auto, Minerbi raggiunse la Casa madre di Tortona. “Ed ecco Don Sterpi all’opera, senza perdere un istante. Un chierico, forbici alla mano, riduce la barba, ne muta la foggia, fino a togliere al mio volto le sue caratteristiche troppo note. Un fotografo per la carta d’identità: da Arrigo Minerbi è tramutata in Arrigo Della Porta; invio immediato di un sacerdote ad Alessandria per i visti necessari e per un certificato della Prefettura che affermi essere il sottoscritto nato a Reggio Calabria e domiciliato a Tortona, con l’incarico di organizzare le opere di assistenza di Don Orione. A sera dello stesso giorno tutto era fatto e l’indomani ecco giungere il chierico atletico di Gavazzana, l’uomo scelto da Don Sterpi a mia compagnia”.
Tutto è disposto per il viaggio e per la destinazione: Roma - Istituto San Filippo Neri, sulla Via Appia.
Incaricato di accompagnare Minerbi a Roma è Antonio Tosi, il chierico di Gavazzana, che Minerbi già ben conosceva. Don Sterpi gli dice: “Tu devi portare sano e salvo il professore a Roma, al San Filippo, ove Don Piccinini l’attende”. Rapida genuflessione e partenza.
“Dopo tre giorni e tre notti di un fortunoso viaggio, arrivammo a Roma. Al posto di blocco di via Appia Nuova, i tedeschi ci fermarono. Nell’interno della vettura eravamo in sei. Chiesero a tutti i documenti, meno che a me, che certo, se interrogato, non avrei parlato calabrese…”.
L’auto si diresse subito alla casa orionina di Monteverde Vecchio, in via Alessandro Poerio n. 36, cioè al Piccolo (minimo) Cottolengo, aperto durante la guerra.[5] Da lì, Arrigo Minerbi fu poi accompagnato all’Istituto San Filippi Neri di Appia Nuova.
Furono vicende indimenticabili per la drammaticità e per l’umanità generosa. Arrigo Minerbi ne diede testimonianza in una conferenza al gruppo Amici di Milano.
«Roma, 7 dicembre 1943. Scaricato da un’auto di fortuna, sotto un diluvio d’acqua, fuggiasco con falso volto e falsi documenti, entro all'Istituto San Filippo. Una folata di ragazzi mi investe. Sono centinaia che mi urtano, mi spingono e io m’immergo nell’onda in tempesta e annaspo con le braccia in quello sciame umano, finché una porta s’apre e due braccia fraterne mi accolgono, e la porta si chiude dietro me. Silenzio e commozione. Il naufrago è a riva e si chiama Arrigo Della Porta.
L’ambiente mi apparve dopo i primi giorni alquanto strano. Professori e maestri in soprannumero… Figure alquanto enigmatiche di laici. A qualcuno più s’addiceva una divisa militare che l’abito borghese. I tedeschi imperavano, rastrellavano, deportavano.
L’assordante cicaleccio di quegli ottocento ragazzi celava e proteggeva l’opera di sublime carità di quei sacerdoti che rischiavano la vita per salvare i perseguitati.[6]
Una magnifica discrezione vietava a tutti, laici, religiosi, seminaristi, anche la più larvata richiesta d’informazioni. Uno solo sapeva. Egli vegliava su tutti, pronto al sacrificio personale, magnifico di consapevole e serena tranquillità. I sacerdoti non avevano riposo, i seminaristi nemmeno. Nessuna comodità, nessun refrigerio, né riposo in piume. Fui testimonio di episodi che serbo nel mio cuore, e non dico, perché la parola li sciuperebbe”.[7]
Arrigo Minerbi, per occupare un po’ il tempo e per ringraziare di quell’accoglienza salvifica all’Istituto San Filippo, pensò di modellare una medaglia con il volto di Don Orione.
“Mi misi all’opera – un po’ di plastilina, un’assicella, alcune stecche che mi feci io stesso con legno di bosso… una coperta provvidenziale sotto mano, per coprire il tutto al minimo bussare (io dovevo rimanere per tutti Arrigo Della Porta) e il piccolo studiolo di scultura era fatto. Una bella fotografia di Don Orione circondato dai bimbi che gli fan corona, mi attirava pel suo bel sorriso luminoso che rincuorava e confortava. Così a poco a poco, nella linda cameretta di San Filippo, nacque la medaglia, la «tessera» di riconoscimento degli Orionini, la «piastrina del soldato». Nel retro della medaglia sotto al simbolo dell’Eucaristia ciascuno farà incidere il suo nome e una data, quella del giorno della prima Messa”.[8]
Venne la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944. E venne la libertà per Arrigo della Porta che poté tornare ad essere Arrigo Minerbi, ormai per sempre “orionino” per gratitudine come un Mosé salvato dalle acque di una tirannia violenta da insperati benefattori. Da Dio.
Ultima monumentale opera di Arrigo Minerbi per l’Opera di Don Orione fu la statua della “Madonnina” Salus Populi Romani, alta 9 metri, e collocata sul colle di Monte Mario, nel 1953.[9]
Fu un’opera d’arte e di fede perché, come scrisse Don Gaetano Piccinini a Papa Giovanni 23°, egli “si è spento lo scorso 9 maggio [1960], baciando un crocifisso che appartenne a Don Orione, mentre già tre anni prima aveva ricevuto il Battesimo, a conclusione della Missione predicatasi a Milano col tema: Dio è Padre”.[10] Del Battesimo parlò egli stesso a Don Giuseppe Zambarbieri, scrivendogli l’11 dicembre 1958, “Alla Donna che mi sta a fianco [la moglie Malvina, d’animo fine e di fede - , vigile a scrutare l’evento, ho detto tante volte: non forziamo la mano. Essa verrà. E per un cumulo di eventi e di circostanze essa si annunziò col rito del matrimonio religioso da me accolto, a mezzo del mio vecchio amico Don Lazzati della chiesa Borromeo. E il rito si è svolto in S. Alessandro, con tutte le dispense religiose necessarie”.[11]
[1] Arrigo Minerbi, Pensieri – Confessioni – Ricordi, Milano, Casa Editrice Ceschina, 1954. Francesco Scarpelli, Artisti contemporanei: Arrigo Minerbi, su «Emporium», agosto 1931-IX, N. 440, p. 67-83 con 23 illustrazioni. Ettore Cozzani, Giovanni Costanzi rievocato accanto a Gesù. Con riproduzione de L’Ultima cena (in argento) nel suo insieme e in cinque particolari sulla rivista «Trentino». Gaetano Piccinini, Roma tenne il respiro, Roma, 1953. Attilio Baratti, “L’Assunta” di Arrigo Minerbi, su «L’Osservatore Romano», del 31. 7. 1942. L. B., Si è spento a Padova lo scultore Arrigo Minerbi, «Corriere della sera», del 12 maggio 1960. Giornale di Ferrara del 12 maggio 1960. Ricordo di Arrigo Minerbi, da un ritaglio di un giornale di Milano («L’Italia») di venerdì 13 maggio 1960, senza firma, ma di Don Ignazio Cavarretta, che lo riprenderà nel Foglietto mensile del Piccolo Cottolengo di Don Orione di Milano, giugno 1985. Ettore Bemporad, Uomo generoso, artista sommo. Ricordo di Arrigo Minerbi nel trigesimo della morte, «Gazzetta Padana» del 9 giugno 1960. [Presenta le opere e gli scritti con cui l’autore le commenta nel suo volume Pensieri – Confessioni – Ricordi, Milano, Casa Editrice Ceschina, 1954, con riferimento costante alla sua città di nascita, Ferrara.]. Ignazio Cavarretta, Lo scultore Arrigo Minerbi a 25 anni dalla morte, Foglietto mensile del Piccolo Cottolengo di Don Orione di Milano, giugno 1985. Vittorio Sgarbi parla della Maternità/Annunciazione della raccolta Marzotto in un articolo su Oggi dell’aprile 1994. Una luce a Monte Mario, a cura degli Ex Allievi, Roma, 1994. Giovanni Marchi, Un grande scultore del Novecento: Arrigo Minerbi, “Messaggi di Don Orione” 33 (2001), n. 106, 33–56..
[2] Giovanni Marchi, Arrigo Minerbi: un grande scultore del novecento, n. 106, 33/2001, p.33-56.
[3] Arrigo Minerbi, Come è nato il mio Don Orione morente, “Messaggi di Don Orione” 33 (2001), n. 106, 43–52.
[4] Notizie in Don Carlo Sterpi. Primo successore di Don Orione, Ed. Don Orione, Roma, 1961, p. 718-722.
[5] Gaetano Piccinini, Roma tenne il respiro, Orionea, Palermo, 1956, p. 25-26. La Casa di Via Poerio 35 e quella di Via Induno a Trastevere subito dopo il 25 luglio 1943.
[6] Marchi Giovanni – Peloso Flavio, Orionini in aiuto agli Ebrei negli anni dello sterminio, “Messaggi di Don Orione” 35 (2003), n. 112, 75–106.
[7] Don Carlo Sterpi. Primo successore di Don Orione, Scuole Professionali Don Orione, Roma, 1961, p. 718-722.
[8] Arrigo Minerbi, La medaglia di Don Orione, la “piastrina del soldato”, “Messaggi di Don Orione”, 33 (2001), n. 106,53-56. L’originale di questo bassorilievo della medaglia è conservato a Villa Santa Clotilde, a Sanremo; copia è nella Curia degli Orionini a Roma.
[9] Ne fece una copia nel 1954, Madonna Queen of the Universe, collocata sulla collina Horient Hill di Boston. Inoltre fece quattro esemplari in bronzo, di dimensione ridotta rispetto all’originale: si trovano a Copparo; Milano e Terracina, poi inviata al santuario di La Floresta in Uruguay; la quarta fu donata dallo stesso Minerbi a Papa Pio XII. Nel 1957, Arrigo Minerbi ricevette il Battesimo nella chiesa di Sant’Alessandro, a Milano; notizie in Giuseppe Zambarbieri e Gaetano Piccinini, “Messaggi di Don Orione” 42 (2010), n. 131, p. 65-70.
[10] Archivio Don Orione, Roma, cart. Piccinini.
[11] Archivio Don Orione, Roma, cart. Zambarbieri.