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Messaggi Don Orione
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Autore: Flavio Peloso

Ricordi, pensieri e propositi guardando al pontificato di Papa Francesco

PAPA FRANCESCO

Una grazia e un impegno per la Chiesa

Flavio Peloso

C’ero anch’io in Piazza San Pietro con una buona rappresentanza della Famiglia Orionina, come c’era Don Orione alla fumata bianca del 2 marzo 1939, quando fu eletto Papa Pio XII. Il Conclave era iniziato proprio nel giorno della memoria di Don Orione, nel suo dies natalis, il 12 marzo.

La fumata bianca dalla Cappella Sistina e il successivo annuncio Habemus Papam! hanno fatto esplodere la gioia di tutti il 13 marzo, alle ore 19.06. Le campane di San Pietro hanno suonato a festa tra il tripudio dei fedeli radunati in piazza.

Ancora un po’ di attesa e, alla loggia centrale della Basilica di San Pietro, è apparso, alle ore 20.22, il Santo Padre Francesco. Preceduto dalla Croce, si è presentato dalla loggia centrale della Basilica alla Piazza San Pietro stracolma di fedeli, fino a Via della Conciliazione, con un familiare "fratelli e sorelle, buonasera". Subito, un caloroso applauso ha sciolto l'emozione. Papa Francesco ha proseguito con parole semplici e immediate dicendo "Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un Vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui''.

La Piazza si è trasformata in una grande famiglia come già lo fu per l’ultimo saluto a Benedetto XVI, il 27 febbraio precedente. "Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa disse allora Benedetto XVI - non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti". Questo anch’io ho visto rinnovato nel momento della elezione e della prima benedizione del novello Papa. Quanta gente, come noi, è rimasta per 5 ore sotto la pioggia, paziente e felice, e soprattutto in preghiera.

Solitamente, nelle famiglie, si festeggia l’arrivo di un nuovo figlio. Nella Chiesa festeggiamo l’arrivo di un nuovo Padre, il Santo Padre. Così vanno le cose che “nascono dall’alto”, dallo Spirito. Come esortava Don Orione: “I figli della Divina Provvidenza, che sono figli umili, fedeli e devotissimi del Papa, lo ameranno con tutto il loro cuore, con tutta la loro mente, con tutta la loro anima con tutta la loro vita!”.

Abbiamo il nuovo Santo Padre e questo è tutto per la nostra fede: è il Padre della Chiesa e il Vescovo di Roma, è il 'dolce Cristo in terra'. Una gioia in più è data dal fatto che Papa Francesco conosce bene e stima la Congregazione in Argentina; conosce ed è devoto di San Luigi Orione. 

L'abbiamo visto e ascoltato tutti nella sua prima apparizione, appena eletto. Questo sarà il suo stile: semplice, popolare, di comunicazione immediata, un anti-protagonista, un uomo di fede e di preghiera che prega e fa pregare la folla di San Pietro e del mondo per il Papa; chiede loro il silenzio e poi recita insieme il Padre nostro, l'Ave Maria e il Gloria, come fanno i buoni cristiani.

Il nome Francesco certo indica la scelta di una ripartenza della Chiesa dalla semplicità e essenzialità evangelica. Si è parlato molto in questi giorni delle sfide della Chiesa, del suo rinnovamento. Anche a questo Papa viene detto 'Va' e ripara la mia Chiesa'. Francesco, uomo semplice, non ha riparato la Chiesa con l'altisonanza di progetti e di attività vistose, ma con la testimonianza del Vangelo vissuto "sine glossa", nella povertà e nella fiducia nella Divina Provvidenza, andando all'essenziale dell'amore e della fraternità.

E avanti, nella fede che ci fa “guardare nel Papa Gesù Cristo, amare e seguire in lui Gesù Cristo – diceva Don Orione all’elezione di Pio XI -, con umile e piena adesione di mente, di cuore, di opere, e con un amore incorruttibile e dolcissimo e più che filiale: chiunque esso sia, il Papa, per noi è Gesù Cristo visibile e pubblico è il dolce Cristo in terra”.

Batta in noi, in questo importante e delicato passaggio della storia della Chiesa, un cuore di figli verso il Santo Padre. Sappiamo bene che questi sentimenti non ci ripiegano su noi stessi, in vani compiacimenti umani, ma ci elevano a Cristo che ha fatto della Chiesa il “sacramento universale di salvezza”, sgorgato dal suo Cuore misericordioso e diffuso dal suo Santo Spirito nella Pentecoste.

 

Papa Francesco ad Ognissanti, il 7 marzo 2015

Papa Francesco ha fatto visita alla Parrocchia di Ognissanti per celebrarvi la Messa 50 anni dopo che, nello stesso luogo e nello stesso giorno, il beato Paolo VI celebrò la prima Messa in italiano con la quale si diede inizio alla riforma liturgica. Scelse Ognissanti perché qui si celebrava il 25° della morte di Don Orione.

Desidero condividere il ricordo vivo ed emozionato dell’incontro con Papa Francesco. Gli sono stato a fianco durante tutto il tempo e le sequenze di quelle due ore di sabato sera, 7 marzo, mi scorrono davanti bene ordinate. Dall’arrivo alle 17.47, in Via Don Orione 14, ove ha lasciato subito l’auto al cancello ed ha iniziato a percorrere a piedi il lungo corridoio lasciato dalla gente nel cortile fino alla sacrestia. E poi la Messa, la concentrazione interiore del Papa nel celebrare, l’omelia, le mie parole di ringraziamento e i suoi passi verso di me per salutarmi. E ancora, dopo la Messa, gli sono stato vicino durante i saluti in sacrestia, e poi all’uscita nel cortile, il suo discorso improvvisato e vivace con la gente e infine, di nuovo la camminata nel cortile, zigzagando tra le due ali di gente per concedere la sua vicinanza a più persone possibili.

Cosa mi è rimasto più impresso?

Il suo stile di celebrare

Lui così, comunicativo e popolare, durante la celebrazione pare estraniato da sé, dimesso, quasi impersonale, amorfo, dà voce e gesti al rito senza metterci quasi niente di suo. Non una parola in più o un gesto fuori di quanto previsto dal rito. E sì che sa improvvisare. Lo guardavo durante la processione di entrata e di uscita della Messa: occhi bassi, niente sorrisi alla gente ai lati e niente cenni di saluto. Non ha dato segni di gradimento verso i gesti di euforia e gli applausi alla fine della Messa, anzi è andato avanti con il rito, interrompendoli. Niente. Nella Messa Papa Francesco agisce in persona Christi. E basta.

La sua omelia

Ha dedicato molti numeri della Evangelii gaudium all’omelia. E lui fa veramente un’omelia. Non solo a Ognissanti, sempre. L’omelia è stata tutta e solo centrata sul Vangelo. Attualizza il Vangelo per il popolo di Dio. Nessuna concessione ai convenevoli verso le autorità presenti, nessun riferimento alle persone o alle circostanze umane della Messa. Anche gli accenni alle due ragioni della sua venuta a Ognissanti – 50° della riforma liturgica e anniversario di San Luigi Orione - sono ridotti al minimo, appena accennati. A lui interessa comunicare la Parola di Dio rendendola interessante e coinvolgente.

Quei passi verso di me

Alla fine della Messa erano previste alcune mie parole di ringraziamento. Ho ricordato che “la storia del quartiere Appio, definito da Pio X la Patagonia romana, è stata fatta attorno alla chiesa e alle opere di carità sociale”. L’ho ringraziato perché “con questa celebrazione ha voluto rinnovare il gesto di benevolenza di Paolo VI che scelse la chiesa di Ognissanti per quella prima Messa in italiano, per stare con la gente di una Parrocchia e anche perché qui si ricordava il nostro fondatore, Don Luigi Orione, nel 25° del suo dies natalis, che quest’anno è divenuto 75° anniversario. Nelle Sue parole e nel Suo esempio noi orionini, consacrati e laici, in tutto il mondo e non più solo a Buenos Aires come fino a due anni fa, comprendiamo meglio cosa richiede essere “secondo il cuore” di Don Orione”.

Quando dopo le mie parole di ringraziamento a fine Messa, ho visto Papa Francesco alzarsi, pensavo andasse all’altare, e sono rimasto fermo. Poi ho visto che veniva verso di me. Mi ha sorpreso e commosso. Cosa ho detto? “Santità, grazie. Tutta la Famiglia Orionina è con lei e vorrebbe essere come lei”. E qualcos’altro.

Il suo appetito della gente

Ancor prima di arrivare a Ognissanti, Papa Francesco sapeva che c’erano 4000 persone in cortile, fuori della chiesa, che l’aspettavano. Ha voluto dedicare loro la maggiore attenzione possibile. In sacrestia, ha regalato un Calice alla Parrocchia mettendolo nelle mani di Don Francesco Mazzitelli. Poi, visto che c’erano molti religiosi e religiose da salutare – i Consigli generali e le comunità di Ognissanti e Curia – ha iniziato a dare la mano a ciascuno, rapidamente, mentre già camminava verso fuori... voleva arrivare quanto prima alla gente.

Tra le 4000 persone del cortile l’ho visto immergersi come un pesce nella sua acqua. Aveva un atteggiamento così deciso, attento, intraprendente nell’avvicinarsi alla gente che ha manifestato un “appetito” che, soddisfatto, non si consumava ma cresceva. Non si lasciava solo toccare e fotografare, concedendosi passivamente. No, andava incontro, sceglieva le persone che gli sembravano più bisognose di una attenzione, di una carezza. L’ho visto fermarsi molti secondi – mi parvero tantissimi – per ascoltare, con la mano all’orecchio, quasi guancia a guancia, quello che gli diceva un uomo. Non era il leader o il personaggio famoso che - un po’ distratto, un po' annoiato - concede soddisfazione ai suoi fans. Tutt’altro. Ogni incontro di occhi o di mano, o di parola erano personali. Quello che faceva con qualcuno, in modo personale, avrebbe potuto e voluto farlo con tutti.

Il discorso in cortile

Gli era stata indicata una predella rialzata e il microfono nella scalinata dell’Istituto San Filippo, qualora volesse dire “qualche parola” alla gente, da tre ore nel cortile, con freddo pungente. “Ah, bene”, e vi si è diretto decisamente.

Ha improvvisato un dialogo e la gente su cose semplici. "Avete freddo?". “Si”.  “Avete pregato?”. “Si”. «Avete pregato qui fuori, questo dà forza alla Chiesa: la Messa, pregare insieme. Questo conta». Non ha trattato la gente da “bambina”, ha proseguito dicendo cose serie parlando dei 50 anni della riforma liturgica che “Paolo VI ha inaugurato proprio in questa Parrocchia". Ha detto: "In ogni parte ci sono difficoltà, ma in ogni parte c’è il Signore e dove c’è il Signore le cose vanno bene. D’accordo?”. Immediatamente si alza un grande “Siii!”.

“E grazie tante per questa accoglienza vostra, per questa preghiera con me nella Messa. Ringraziamo il Signore per quello che ha fatto nella sua Chiesa in questi 50 anni di riforma liturgica. È stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa l’avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa. Questo è importante per noi: seguire la Messa così. E non si può andare indietro. Dobbiamo andare sempre avanti, e chi va indietro sbaglia. Andiamo avanti su questa strada".

Ha avuto qualche parola di ricordo di Don Orione che ha iniziato personalmente questa parrocchia, e ha detto "Mi aspetto che questa Parrocchia continui ad essere di modello di celebrazione liturgica. Soltanto mi piacerebbe che il canto sia un po' più forte. Avete paura di cantare?". La gente risponde: "Noo!". "Io soltanto sentivo il coro. La gente era un po' così lì dentro (indicando la chiesa). Forse voi qui cantavate, non so. Grazie tante e avanti. Forza e avanti. Che il Signore vi benedica. E adesso vi dò la benedizione. Preghiamo la Madonna. Ave Maria...". La sua voce è stata subito sovrastata da quella della gente che si è unita ad alta voce. "Vi benedica Dio Padre onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo". Anticipando l'applauso della gente aggiunge: "E pregate per me. Pregate per me".

In cortile, tra la gente, ci sono stati i momenti più belli della visita di Papa Francesco. Nel "corpo a corpo" con le persone egli si sente a suo agio, si rigenera, diventa creativo. Proprio nel cortile ha tirato fuori anche i pensieri che più sono stati ripresi nei mass media: "È stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa l’avvicinarsi al popolo di Dio perché possa capire bene quello che fa... Non si può andare indietro. Dobbiamo andare sempre avanti su questa strada".
È proprio vero. Nelle parole e nell’esempio di Papa Francesco noi orionini, consacrati e laici, comprendiamo meglio cosa richiede essere “secondo il cuore” di Don Orione.

 

Non dobbiamo sprecare la grazia di Dio che è Papa Francesco in questo tempo della Chiesa.

Il fascino della normalità

L’immediatezza del rapporto umano e del linguaggio di Papa Francesco porta a sfrondare molti formalismi del vivere e del parlare ecclesiastico. Egli ripete spesso di essere peccatore, ammette la sua fragilità di salute e età. Con spontaneità chiede perdono e chiede preghiere. Fa scelte di vicinanza personale alla gente per telefono o in piazza. Tutto questo sta producendo un nuovo interesse e partecipazione alla vita della Chiesa perché è percepita come “casa” di gente comune, luogo di incontro, non “dogana né museo di tradizioni obsolete”.

Credenti e non credenti hanno preso simpatia per Papa Francesco soprattutto per il fatto che in lui vedono “un uomo diventato Papa”, un “uomo normale”, che vuole rimanere tale nel modo di abitare, di vestire, di parlare, nelle relazioni, nelle emozioni.  Egli non sopporta il "narcisismo teologico e pastorale", sia quello di tipo euforico che quello depressivo. Denuncia la "mondanità spirituale", dove mondanità è sostantivo (la sostanza) e spirituale è aggettivo (forma, rivestimento). Vuole invece una spiritualità sostanziosa, autentica ed evangelica, senza "frullare la fede in Gesù Cristo" (in spagnolo è “no licuen la fé en Jesucristo”) in qualcosa che diventa irriconoscibile, insapore, poco appetibile.
 

Uscire per capire

Papa Francesco ha introdotto un nuovo modo di capire la realtà, il mondo e anche la vita della Chiesa: a partire dalle “periferie esistenziali”. Lancia insistente l’invito ad uscire, non solo per compatire e per aiutare chi soffre e chi ha bisogno, ma ancor più per favorire una vera e attuale comprensione del modo d’essere e di operare della Chiesa stessa.

Spiega Papa Francesco in Evangelii Gaudium 39: "Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza! Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte... il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più il profumo del Vangelo”.


Uscire per vivere

Non dobbiamo confondere la fissazione di Papa Francesco sulla Chiesa in uscita con una mania di estroversione o con una forma di populismo. No, Papa Francesco è convinto che solo uscendo, cercando, inciampando, rischiando, dialogando, la Chiesa è fedele alla sua identità e si rinnova.

Lo ha detto anche a noi Orionini d’Argentina e del mondo, nel novembre 2009. “Andate alle frontiere esistenziali con coraggio. Dio vi vuole “di strada”, nella strada. San Pio X inviò Don Orione fuori Porta San Giovanni, nella strada, non nella sacrestia. Una Congregazione che si guarda allo specchio finisce nel narcisismo e termina con l’essere senza capacità attrattiva, senza sogno. Una Congregazione che si chiude nelle sue ‘cosette’ finisce come tutte le ‘cosette’ chiuse, buttate via, con odore di muffa, inservibile, inferma. La strada più sicura verso l'infermità spirituale e vivere chiusi in ‘cosette’ piccole. Chiedete a Dio mille volte la grazia di essere una Congregazione incidentata e non una Congregazione inferma”.


Ricollocazione popolare della Chiesa

Ben oltre lo stile popolare che incarna e chiede, Papa Francesco sta operando una ricollocazione popolare della Chiesa e della sua missione.
La Chiesa – pastori, cristiani e istituzioni - deve concepirsi non più solo per il popolo, e nemmeno solo in dialogo con il popolo (la grande prospettiva del Vaticano II), ma nel popolo, una Chiesa-popolo. Ogni scelta che porta a questa collocazione popolare della Chiesa risponde alle esigenze della Chiesa nel mondo contemporaneo, secondo Francesco.

Quanto è “orionino” questo modo di vedere la Chiesa. Penso alla nostra Congregazione che – come ha voluto Don Orione e come ancora avviene - “pianta le sue tende nei centri operai, e di preferenza nei rioni e sobborghi i più miseri, che sono ai margini delle grandi città industriali, e vive piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori, confortata dalla benedizione della Chiesa”.

Anche il nostro senso apostolico – Anime! Anime! – va attuato non solo come un darsi da fare, ma prima ancora come uno stare accanto ai piccoli e ai poveri nelle periferie esistenziali, per ascoltare le domande, per “raccogliere pericolanti debolezze e miserie, e porle sull’altare perché in Dio diventino le forze di Dio e grandezza di Dio”. Questo ci eviterà di dare risposte vecchie a domande che nessuno fa.


Credenti non fans

Passano i papalini”, dicevano a Tortona dei primi ragazzi di Don Orione. In molti posti siamo ancora riconosciuti così. “Unire al Papa per instaurare omnia in Christo, mediante le opere di carità, è proprio di nostra vocazione”. La punta avanzata del carisma orionino è proprio la concentrazione papale, indispensabile per la coesione dell’unità organica della Chiesa. Noi siamo nati e viviamo per essere “tutta cosa della Chiesa e del Papa”.

Oggi stiamo assistendo a una forte concentrazione sul fenomeno Papa Francesco, che non riguarda solo la Chiesa, ma anche la società laica, la politica, le religioni, la cultura. Papa Francesco ha una grande esposizione mediatica. Tanti suoi gesti sono diventati breaking news, titoli di prima pagina, oggetto di talk show e di programmi di approfondimento di radio, televisioni, di convegni. Tutto quello che è Francesco tira, attira, fa trend, è di moda.

Della attenzione mondiale sul Papa dobbiamo evidentemente rallegrarcene. Occorre però evitarne alcuni risvolti ambigui che non sono certo nelle intenzioni di Papa Francesco. Ne segnalo quattro.

1)   "America loves the singer but not the song", ama il cantante, il Papa, ma non la canzone, gli insegnamenti, come si scrisse all'indomani della trionfale Giornata Mondiale della Gioventù di Denver. Attenzione, a non puntare più l'attenzione sul cantante che sulla canzone cristiana. Non basta esaltare il solista. Bisogna fare coro e suonare la stessa musica. Questo richiede apprendimento e conversione.

2)   "Non gridate Viva il Papa, ma Viva Gesù": ha detto Francesco in Piazza San Pietro. Cioè, è l'incontro con Gesù che conta e a cui tendere. Il Papa è il "dolce Cristo in terra" in quanto rimanda a "vivere Gesù, respirare Gesù, vestirci dentro e fuori di Gesù" (Don Orione).

3)   "C’è unità di capo e membra nel Corpo di Cristo che è la Chiesa": questo significa unità organica con il Papa e con le membra e le articolazioni della Chiesa che sono i dicasteri vaticani, i vescovi, le diocesi, le parrocchie, le congregazioni religiose, i vari organismi ecclesiali. Dobbiamo vivere l’appartenenza e la sussidiarietà nella Chiesa senza corti circuiti ideali e non organici con il Papa. Che la concentrazione sul "capo" non porti all'indebolimento o scollegamento delle "membra" del Corpo ecclesiale.

4)   Papa Francesco è buono, è nuovo. La Chiesa è marcia, è vecchia. Facciamo attenzione a chi esalta così il Papa. È una ambiguità coltivata soprattutto dai mass-media laici ma con molta influenza anche nel mondo cattolico. Molti interventi correttivi pubblici di Francesco su organismi e pastori della Chiesa vengono strumentalizzati in modo da esaltare idealisticamente il Capo e da screditare il Corpo reale, la Chiesa.

Dobbiamo amare il Papa da credenti, da figli della Chiesa e non da fans. Se poi i credenti hanno anche l’entusiasmo dei fans, ben venga. Viva il Papa!

           

Due discorsi di Francesco per il nostro cammino di Orionini

Per noi Orionini, via sicura di fedeltà al Papa è vivere e attuare quanto ci ha detto ricevendoci al termine del Capitolo Generale XIV (“Servi di Cristo e dei poveri”) e del Capitolo generale XV (“Facciamoci il segno della croce e gettiamoci nel fuoco dei tempi nuovi”).

Invito a leggere anche: Orionini in cammino nella Chiesa di Papa Francesco, “Atti e comunicazioni della Curia generale”, 2013, n.242, p. 221-238; Nella Chiesa di Papa Francesco, “Don Orione Oggi”, febbraio 2014, p.3-5; La grazia di Dio che è Papa Francesco, “Don Orione oggi”, luglio-agosto 2015, p.3-5.

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