IL MIO RICORDO DI BENEDETTO XVI
Joseph Ratzinger è stato l’uomo nella sua migliore realizzazione che io abbia incontrato nella mia vita.
Don Flavio Peloso
Mi è calato un velo di tristezza, di dolcezza e di nostalgia quando ho appreso che Benedetto XVI si è spento, alle 9.34 del 31 dicembre 2022. Per me è come il lutto per un familiare. Non solo perché il Papa – ogni Papa – mi è intimo, ma perché è questo Papa, Benedetto XVI, con il quale ho avuto la grazia di avere una consuetudine di vita feriale e di godere di una speciale immediatezza di stima e affetto.
Sono molti i miei ricordi di Benedetto XVI, personali e di Congregazione orionina. Per poco più di cinque anni, dal marzo 1987 al maggio del 1992, sono stato vicino al cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Era il Prefetto, non solo il “capo”, ma anche la “luce” e il “padre” a cui tutti guardavamo con rispetto e devozione, contenti di servirlo e, per quanto possibile, di imitarlo.
Fu un tempo prezioso, una grazia di Dio, una vita di studio ma anche di relazioni molto interessanti, una finestra privilegiata per conoscere la vita della Chiesa. E per conoscere lui, la sua fede basata su acuta intelligenza e, insieme, su una semplicità di cuore che incantava.
Ecce Homo! Un uomo libero, proprio perché di grande intelligenza e di grande fede, un “cooperatore della verità” e “un umile lavoratore”, secondo le sue prime parole da Papa.
Grazie Benedetto XVI.
Mi commosse quando venne a presenziare alla difesa della mia tesi di dottorato in liturgia, dedicata all’immagine e alla teologia della santità come emerge nelle orazioni proprie dei nuovi beati e santi dopo il Concilio Vaticano II. E mi sorpresero quelle due pagine di Prefazione, scritte con fitta e sicura calligrafia, per la successiva pubblicazione.
Riprendendo il ricorrente preconcetto che il culto dei santi costituisca una deviazione dal culto cristocentrico e trinitario, affermava “La santità significa invece proprio che, con tutta la propria esistenza, si è superato questo errore. Un santo è un uomo, che non blocca lo sguardo verso la luce di Dio con l'ombra del suo essere personale, ma che invece, attraverso la purificazione della sua esistenza, è diventato una specie di finestra che, da questo mondo, ci lascia vedere la luce di Dio. L'uomo raggiunge pertanto la sua più alta dignità e la sua autentica verità quando non vuol più essere un concorrente di Dio, ma una sua immagine fedele. I santi non ci allontanano da Cristo, ma ci conducono a lui”.
Ecce homo, il santo!
Non trovo parole più adeguate per dire chi è stato Benedetto XVI: un santo, un uomo trasparente che “non bloccava lo sguardo verso la luce di Dio con l'ombra del suo essere personale” ed anzi, “attraverso la purificazione della sua esistenza, è diventato una specie di finestra che, da questo mondo, ci ha lasciato vedere la luce di Dio… una sua immagine fedele”.
Grazie Benedetto XVI.
Non ricordo in lui mai nessuna forma di protagonismo o di esibizione di ruolo, nemmeno con i suoi collaboratori subalterni. Ricordo che non mancava mai alla pausa per il caffé, al venerdì quando si teneva il “congresso particolare”. Godeva di stare con noi, si interessava, commentava avvenimenti, sorrideva divertito per qualche amenità, approfondiva qualche valutazione. Apprezzava e commentava le nostre relazioni di ufficio sui temi assegnatici.
Ricordo l’ultimo colloquio con Benedetto XVI, il 2 settembre 2016, nei giardini vaticani al termine della recita del Rosario con il suo fedele segretario Georg Ganswëin. Lo trovai un po’ rigido nei movimenti ma in forma, con i suoi capelli bianchissimi, un po’ lunghi e mossi sul capo, disteso, vivace, molto presente al discorso e ai ricordi. Un quarto d’ora, a tu per tu, soprattutto ricordando persone e fatti dei cinque anni trascorsi insieme alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Abbiamo passato in rassegna, uno a uno, i colleghi allora presenti, i fatti e le abitudini condivise. Per tre volte gli è uscito un sorriso divertito. “Eravamo una bella famiglia, si lavorava bene”, concluse soddisfatto. Sapendo che avevo terminato il mio compito di superiore generale mi ha chiesto: “E adesso cosa fa?”. “Sono parroco, a Monte Mario. Ma continuerò a studiare”, aggiunsi subito sapendo quanto raccomandava lo studio. E aggiunse contento come di un bene a lui ormai lontano: “Che bello, così avrà un contatto più diretto con la gente”.
Grazie Benedetto XVI.