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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Adelaide Coari fu direttrice e organizzatrice delle 700 scuole rurali lombarde, dal 1926 al 1934.

Pioniera del movimento femminile cattolico, donna di cultura, pedagogista, frequentò Don Orione per circa trent'anni, partecipe di valori spirituali e di progetti di bene.

ADELAIDE COARI RICORDA DON ORIONE

 

Adelaide Coari e il Movimento femminile cattolico

 

Questi ricordi di Adelaide Coari riguardanti Don Luigi Orione sono stati raccolti, redatti e riletti all'interessata da Don Amerigo Bianchi, sacerdote dell'Archivio Don Orione di Roma. Il Resoconto è accompagnato da questa nota.

Milano li 25 marzo 1959. Accolto con signorile bontà e tanta cortesia dalla Sig.na Coari, Le ho posto le domande. Ella mi ha detto, a un dipresso, quanto segue. La conversazione procedette un poco a sbalzi, ed io la stendo così come si svolse, riservandomi di ordinare successivamente le notizie secondo un ordine cronologico. La conversazione cominciò con un accenno all'indimenticabile D. Clemente Rebora, dei Rosminiani: "Fu per me una gioia presentarlo nel 1939 a Don Orione". E proseguì.

 

Ero già stata in Calabria nell'occasione del terremoto del 1905, vi tornai per quello del 1908. Ero colla Marchesa Alfieri di Sostegno, nipote di Cavour; eravamo accorse per raccogliere orfani bisognosi di assistenza. Avevo vista Reggio in piedi nel 1905, ora la ritrovavo desolata.
V'ero andata per il Comitato di Milano, quel Comitato che è stato recentemente premiato con medaglia d'oro. C'erano l'Ing. Nava e l'Ing. Broggi ecc., ai quali m'ero affiancata.
Percorsi l'Aspromonte, Palmi, Bagnara ecc.

E sin dai primi tempi di quel 1908 sentii parlare di Don Orione; forse anche lo incontrai: io ero con Zanotti Bianchi, Alfieri ecc.; ma non lo ricordo.
Lo incontrai davvero, però, nel 1911 quando tornai a Messina.
Me ne aveva parlato tanto e tanto bene l'Ing. Aiace Alfieri. Non giungevo a Messina per il Patronato, ma per l'Associazione del Mezzogiorno.
Dovevo preparare un progetto per gli Asili. Ero in relazione col Senatore Franchetti, il quale mi aveva appunto inviato a Reggio e Messina con quell'incarico: era, se non erro, il luglio del 1911.

Aiace Alfieri, che incontrai a Villa San  Giovanni, mi narrò un simpatico episodio. Egli si trovava laggiù pure per incarico del Sen.  Franchetti e l'Associazione del Mezzogiorno. In un momento dunque che si trovava sprovvisto di denaro e non sapeva a chi rivolgersi, si diresse a Don Orione, ed ottenne quanto abbisognava.

Ciò che sentii di Don Orione mi diede voglia di conoscerlo. Non ricordo dove sia avvenuto il primo incontro; ma certo non ne dimentico la sostanza. Egli ordinò le mie cose spirituali.
Rimproveravo alla Chiesa le condizioni di quel tempo, e le gravi difficoltà che me ne derivavano: le rimproveravo in un certo senso di non avermi dato il necessario per poter vivere in quel momento, in quell'ambiente, in quelle circostanze, in pienezza religiosa.

Io sono una devota di Rosmini; mi parve ritrovare nelle parole di Don Orione qualcosa di quel grande Sacerdote.
Mi disse: "La nostra Chiesa è malata". E seguitò, però, con l'episodio biblico di Noè e dei suoi figli. "Ubriacatosi, due dei suoi figlioli cercarono velare ed ordinare ciò che Cam aveva posto in vista di tutti". E mi richiamò alla mia responsabilità verso la MADRE, la CHIESA, la MADRE CHIESA. Mentre l'ascoltavo, pensavo che conoscesse "Le cinque piaghe" di Rosmini.

Molto avevo avuto da Don Orione, in quell'incontro, da quelle parole; più ebbi dal suo esempio, perché egli era in mezzo alle persone del mondo, frequentava gli ambienti ed i gruppi che io stessa frequentavo. E tutta la sua vita era tesa al bene di quei poveretti, che l'immane sciagura aveva posto in situazioni tanto difficili e dolorose. Don Orione era molto ben quotato e godeva grande stima nell'ambiente laico serio.

Sino al 1908 avevo appartenuto alla Democrazia Cristiana; avevo preso parte in quell'anno al grande Congresso delle Donne italiane, nel quale si svolse la nota battaglia circa l'insegnamento religioso nelle scuole di stato. Io proposi l'ordine del giorno favorevole; fui osteggiata...
Questo mi amareggiò, fece sì che mi allontanassi da quegli ambienti.

Ora, a Messina, l'ambiente era molto diverso; pure, i valori cristiani vi erano tenuti in grande pregio.
V'ero giunta per incarico dell'Associazione del Mezzogiorno; poi la Contessa Spalletti mi volle col Patronato., e l'ottenne pregandone il Barone Franchetti.

Fui incaricata di ispezionare gli Istituti di Reggio Calabria e Messina.
C'erano Suore, ma non andavano bene. Quello di Messina, per esempio, era disordinato e intascavano i capitali.
Dopo l'ispezione allontanarono chi dirigeva; ebbi io l'incarico direttivo, unitamente a quello di ispezionare l'Istituto di Reggio. Tolsero al Comitato la firma presso la Banca d'Italia. Ma il Senatore Franchetti mi ammonì che avrei dovuto pretendere lo scioglimento del Comitato. Ne era Presidente SOFIO; ma era circondato da gente che non valeva nulla.
Così, malgrado fosse uomo buono e capace, non capì la situazione e non dette le dimissioni.

V'erano ragazze di 18 anni, che a ventun anno sarebbero uscite d'Istituto con una dote di duecento lire; erano servite in tutto, e non sapevano fare né la firma né il letto.
Io cominciai dal licenziare molto personale; le ragazze dovettero tirar su le maniche. Insomma mutai disciplina, e mirai a prepararle alla vita alla quale erano destinate. Ci fu chi pensò a metter su le ragazze. Ci fu sommossa. Battaglia grossa, che doveva, perfino, andare in Parlamento. Ma non andai via come credevano.
Infine venni via. Con tutti gli onori. Avevo anche la benevolenza della Regina, che mi volle sua ospite.

La Spalletti voleva istituire una scuola per Signorine destinate ad essere educatrici: educatrici laiche. Avrebbero lavorato nei Convitti di Stato. A tal fine voleva prendere le più anziane delle orfane, e riunirle in un istituto, che aveva apprestato a Frascati.
Io non presi, naturalmente, impegno; e mi recai a visitare Frascati, per veder bene di che cosa si trattasse.
Bella biblioteca, bel salone, tutto bello: ma mancava la cappella. Ecco, la Spalletti era una gran brava donna, gran donna e di valore, ma i fatti dicono che in effetto non dava  gran peso alla religione. Teosofa, sempre, mi sembrò. Era una cara persona; ma non penso che fosse decisamente cattolica.

Anche al Congresso delle Donne Cattoliche del 1908, del quale abbiam già parlato, e del quale Ella era la Presidente, se fosse stata una cattolica d'impegno, avrebbe dovuto intervenire in quella brutta battaglia dell'insegnamento religioso, e dir chiara la sua parola.
Di quel Congresso io feci relazione, stampata in PENSIERO E AZIONE (10/25 maggio 1908) - Rivista femminile italiana -  Via Dogana 2 - Milano.

La Spalletti, però, aveva molto attaccamento al Padre Genocchi: a proposito del quale ricordo che, scrittane la vita, la si tenne in soffitta per due anni (Sacro Cuore - Roma, Padre Ceresi). Anzi, ad un certo punto, Padre Ceresi me ne dette una bozza, perché, se i Superiori avessero distrutto tutto, il lavoro non andasse totalmente perduto.

Sempre a proposito di questa vita del Padre Genocchi, Padre Ceresi mi disse che s'era trovato molto perplesso: pubblicarla? Non pubblicarla? Chiese consiglio a Don Orione, il quale chiese tempo per esaminarla.
Dopo qualche tempo la restituì: "Ho letto - disse - . Può essere pubblicata". Se i Padri del Sacro Cuore avessero distrutto l'opera, io ne possedevo la bozza. Quelli l'avrebbero respinta, Don Orione l'avrebbe invece accolta a braccia aperte.

Ma torniamo al nostro argomento. Che differenza tra la religiosità della Spalletti e quella, ad esempio,  del Sen. Franchetti! Era ebreo, era liberale; ma che cuore per le miserie! Fu il primo, con Sonnino,  a compiere l'inchiesta in Calabria. Aveva sposata una americana, la Lice Algarten. Egli aveva un senso religioso profondo.

Io andavo ospite a Città di Castello, dove avevano la casa. Rammento che una volta assistevamo ad un tramonto: io guardavo al sole; ed egli mi fece delle riflessioni che non ho più dimenticato. Disse, presso a poco,  che non dovevo guardare al sole, ci avrei lasciato gli occhi. E' il sole che viene a noi e ci dà la vita. Concludeva che  è Dio che tutto ci dà, e non dobbiamo presumere di contar qualcosa in questa comunicazione...
Ed era tanto rispettoso delle credenze altrui. Ricordo, un venerdì santo, a Roma. Deve essere stato l'anno successivo alla morte della sua Lice. I Franchetti stavano in una antica villa a San Giovanni in Laterano. Mi invitò a colazione. Doveva venire anche Gallarati. Mi schermii: da cattolica, temevo che non si sarebbe osservata la legge dell'astinenza e del digiuno. "Le faccio preparare d'olio", mi disse con una delicatezza di cui gli fui tanto grata. Nel pomeriggio poi andammo, con Gallarati, a Santa Maria Maggiore.

Altre persone di quell'ambiente messinese erano quelli del Rinnovamento di Milano. Mi pare fossero due: Aiace Alfieri, Gallarati Scotti. Il primo era il Segretario del Rinnovamento.

Gallarati Scotti lo conoscete. Gran signore, noto letterato. Per quanto Giovanni Boino (un vero valore, morto a 27/29 anni) lo abbia stroncato nella sua critica; mise invece in primissimo piano (1915) Clemente Rebora, sui frammenti lirici del quale scrisse cose assai belle: lo disse uomo intero, uomo grande. Trovava in lui del dantesco, del michelangiolesco...

Del Rinnovamento era pure Iacini.

Don Brizio non l'ho visto a Reggio Calabria, né credo vi sia stato in occasione del terremoto. Pure Don Orione già lo conosceva, in quegli anni.

Ricordo che, nell'11 o nel 12, incontrai Don Orione a Metaponto. Io andavo a Reggio, lui ne tornava. Scambiammo qualche parola; poi, mentre il mio treno si muoveva, Don Orione mi disse: "Dica, Signorina, a Don Brizio, che le mie Case sono tutte aperte per lui". Don Brizio, mi pare, chiuse l'istituto di Crevenna nel 1915.

Dare un giudizio su Don Brizio non è facile. Debbo però dire onestamente che all'incontrarlo, fin dai primi giorni, sentii tra me e lui un muro. Era un intellettuale; indulse poi troppo al fascismo: Sarfatti, Gerarchia, ecc.

Ma ritorniamo al nostro discorso, dopo aver accennato almeno un poco all'ambiente nel quale vivevo in quegli anni lontani. Avevo, nel 1908, 25 anni: ero cattolica; volevo lavorare in mezzo al mondo. Le parole di Don Orione furono per me decisive. Mi confermai nel valore della Chiesa. E sempre più mi accorsi che, in quell'ambiente laico, i valori cristiani della  Chiesa Cattolica erano profondamente sentiti; e che, in me cattolica, apprezzavano, non quanto poteva essere mio, ma proprio tutto e quello che a me veniva dalla Chiesa.

Era proprio, del resto, il giudizio della Chiesa, che mi guidava. Ad esempio nel caso della Montessori. Era Franchetti che mi mandava da lei.
Diceva che il suo metodo avrebbe soppiantato il metodo catechistico.
Penso volesse intendere che il catechismo si poteva insegnare con ben altri metodi di quelli comunemente in uso in quei lontani anni.
Eppure io lo giudicai un metodo dogmatico e materialistico: non aveva anima, non aveva senso interiore. I "pezzetti di legno", con tutti i loro colori, i ragazzetti se li tiravano dietro l'un l'altro. Eppure, allora, Ella diceva che bastava il suo materiale per fare il fanciullo.

Ricordo pure, di quegli anni, Radini Tedeschi: per me era un padre.
Don Angelo Roncalli mi ha consegnato tutta la corrispondenza di Radini Tedeschi. Eccola. Sto vedendo di riordinare i ricordi...

Ricordo che Radini Tedeschi, nel 1912, mi parlò di Don Orione. Me ne disse gran bene, ma disse anche che era "un po' pasticcione...".

Nota di Don Bianchi: "Ho spiegato alla Sig.na Coari che Radini Tedeschi chiamò a Roma Don Orione nel 1899, affidandogli una povera colonia agricola di orfani raccolti nella strada. Un collaboratore, nel quale Don Orione riponeva gran fiducia, non corrispose, e cercò di affermarsi in proprio. Ne provenne una serie di circostanze, in seguito alle quali quegli lasciò l'Opera; e Don Orione restrinse le diverse Colonie Agricole, che allora aveva in Roma (ad un certo punto furono quattro) ed una a Orvieto: quella della Santa Maria, che ancora esiste. Tutto ciò non poté avvenire senza inconvenienti, tanto dolorosi quanto inevitabili...".

La Spalletti aveva grandissima stima e fiducia in Don Orione. Era un uomo integro e che dava tutto per il dovere. Era accolto per il principio evangelico, che attuava, del "SERVIRE", senza tenerci affatto alle cariche od ai soldi: caso davvero mirabile...


ANNOTAZIONI VARIE

Radini Tedeschi pensava di noi che fossimo pecorelle sbandate...

Nel 1908, al primo apparire della Montessori si ebbe gran lotta. La Civiltà Cattolica la combatté; poi la favorì; infine col P. Barbero, la combatté ancora. Una della Montessori era la Ballerini; la trovai, ricordo, una volta da Mons. Faberi.

Quando Don Orione tenne il discorso alla Università Cattolica, ci trovammo la mattina con Gallarati Scotti, e ci demmo parola di trovarci alla conferenza:" Speriamo - mi disse - che stia sopra la mischia...". Dopo la riunione, lo rividi e mi disse: "Si faccia interprete presso di lui della pena che m'ha dato".

Cavazzoni mi telefonò se volevo mettermi in lista per parlare con Don Orione. Che lista! Telefonai. "Venga" mi disse.
Entravo, che usciva Mons. Corbella, di sentimenti piuttosto benevoli verso... l'Olimpo di allora. Don Orione chiese subito alla Suora un caffè per me, e, chiusa la porta: "Signorina! Sono io la prima vittima". Aveva evidentemente dette, quelle parole, per il bene delle sue opere.
Ciò non toglie che, nel 1940, mentre s'inaugurava il Piccolo Cottolengo Milanese io piansi... L'Italia si distruggeva.

Ricordo d'essere andata una volta (1925?) a Roma, a visitarlo, in Via delle Sette Sale. Era radioso. Mi ricevette nel salottino; mi spiegò la ragione di quella luce che gli rischiarava tutto il viso. Aveva, sino allora, letto l'epistolario del Rosmini.

Sorella Maria. Era una fautrice del Bonaiuti; di cognome Bignetti, sorella del Generale Bignetti, Famiglia distinta. Creò una comunità che vivesse di vita povera, eremitica. Vi andai anch'io; fui la prima: sola per 8/10 giorni, a preparare la casa. Presi la cosa sul serio, lavorai con le mie mani... Poi giunsero con cuoca e cameriera. Era a Subiaco... Poi il Vescovo la pregò di andarsene.
Si leggeva San Paolo: ma il commento del Bonetti mi pareva tale, che ognuno poteva tirarne un po' quel che voleva...
Ora la comunità è a Campello sul Clitunno.
Il posto è molto bello e antico. Vi sono state scoperte antiche pitture. Lo pagarono, allora, una sciocchezza: un centinaio di migliaia di lire. Fanno parte della comunità anche gente d'altra provenienza: una luterana, una anglicana.
Debbono vivere della carità, perché i pochi lavori (ricami, ecc.) non bastano a sopperire alle spese.
Ora la "luterana" s'è assunto l'onere delle spese di vita...

Gallarati Scotti quest'inverno, nell'occasione della consegna della medaglia d'oro al Comitato Milanese d'assistenza ai terremotati del 1908, parlò alla T.V., al Circolo Calabrese: e ricordò l'opera di Don Orione nel terremoto.

A Messina, non fui io sola a sostenere gli attacchi dei messinesi. Vi era anche un laico, direttore d'orfanotrofio; gli fecero una terribile lotta. Mancò di forza d'animo, si uccise.
Anche Don Orione ha avuto da soffrire...Eravamo i piemontesi, quelli d'alta Italia.

Padre Semeria venne in Calabria nel periodo della guerra 15/18, non mi pare sia venuto prima. Era una cara persona, ma non era nato del tutto per essere un educatore. Era troppo idealista, e largo, tollerante troppo, e troppo preoccupato del benessere degli assistiti.
Anche Don Orione voleva il benessere, ma anche lo spirito di sacrificio...

L'Associazione del Mezzogiorno venne costituita, mi pare, verso il 1910; l'idea, mi sembra, fu di Zanotti Bianchi; quando me ne occupai ne era Presidente il Senatore Franchetti. Ne faceva parte anche Gallarati.

Del Patronato Regina Elena, la regina Elena era Presidente onorario; la Contessa Spalletti Presidente effettivo; Sonnino il Vice Presidente. Aiace Alfieri faceva parte dell'Associazione del Mezzogiorno, come me; era Segretario del Rinnovamento, ma non c'era connessione tra il Rinnovamento e l'Associazione del Mezzogiorno. Aiace Alfieri vive ancora e trovasi a Roma all'Associazione del Mezzogiorno.

Quanto alla mia crisi spirituale, aggiungerò che io ero religiosa, e volevo vivere nel mondo come tale. Feci battaglia per la istruzione religiosa nella scuola, perché mi faceva male sentire, come sentii una educatrice, affermazioni del genere: NON È NECESSARIO IDDIO PER EDUCARE. Eravamo, allora, al 1902, ed io avevo 21 anni.
Che Iddio fosse necessario per educare io ne ero convinta fino al fondo dell'anima. Ma poi mi accorsi che per portare Iddio nell'educazione bisogna anzitutto conoscerLo. Che ne sapevo io di religione?

Fu Toniolo che nel 1904 mi condusse a S. Anselmo, mi introdusse alle bellezze della Liturgia, all'uso del Messalino, delle Officiature.
Nel 1911 seguii a S. Anselmo tutta l'Officiatura della Settimana Santa.
Mi ricordo d'aver visto, in quella Chiesa, un tedesco che leggeva attentamente un testo religioso; feci di tutto per leggerne il titolo; poi corsi subito da Treves per acquistarlo. Dovetti cercare, insomma, quello che la scuolettina non mi aveva dato.

Don Orione mi attrasse subito perché sentii che parlava con semplicità, da Padre, da fratello, e diceva ciò che sentiva e che praticava.

Quanto all'incontro modernistico del Lago di Como, mi pare ci debba essere una lettera del Card. Ferrari a Pio X. Forse voi potrete riuscire a prenderne visione. Mi pare vi partecipasse pel Rinnovamento anche Gallarati Scotti.

 

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