Tre genovesi ricordano Don Orione:
Card. Giuseppe Siri: IL FASCINO DI QUELL’UOMO DI DIO
Card. Dionigi Tettamanzi: LA CARITÀ COME CULTURA
Don Gianni Baget Bozzo: QUELLE PAROLE POTENTI E COMUNI, PIENE DI DIO.
ALTRO CHE LA LANTERNA DI GENOVA!
Don Orione assicurò che il Piccolo Cottolengo
sarebbe diventato un faro di fede e di civiltà
più luminoso della famosa lanterna sullo scoglio di Genova.
Di fatto, fu lui ad accendere quella luce e ad illuminare
di carità e di Dio l’intera Città che vibrava con lui.
Tre testimoni di tempi diversi ci offrono scintille
della sua umanità e della sua santità:
il Card. Giuseppe Siri, il Card. Dionigi Tettamanzi e Don Gianni Baget Bozzo.
Card. Giuseppe Siri
IL FASCINO DI QUELL’UOMO DI DIO
Appunti personali, senza data.
Don Orione ha la forza di nascondere sotto il sorriso largo e l’abituale vivacità, sotto la prontezza perspicace qualunque agitazione o pena, qualunque travaglio: il sacrificio dev’essere naturalissimo e semplice. Tutto è bruciato da lui, ma senza affumicare nessuno. La sua carità costava e costò tutta la sua vita. Essa si vide, e con essa nascose se stesso.
IL PRIMO INCONTRO CON DON ORIONE
Quando sbucai in Via Bosco, a Genova, dove Don Orione riceveva, vidi questo spettacolo. La strada era piena di gente tanto che non era facile avanzare. Aspettano Don Orione, mi dissero. Mentre tentavo guadagnare la cancellata di Santa Caterina udii un mormorio, ed osservando dall’alto la strada in discesa scorsi sul fondo un auto che tentava fendere la folla. Quando l’auto passava, ai lati la gente s’inginocchiava. Vicino a me un uomo protestava di tutto questo, ma quando l’auto fu all’altezza di lui, si inginocchiò.
Predicava sempre con calore insolito, ma l’effetto che se ne sentiva dentro era molto superiore alle cose che diceva.
È vero che di lui si sentivano narrare cose straordinarie e mirabili, è vero che in tante case si conservano memorie di sue visite contrassegnate da singolari effetti della sua preghiera, ma la comunicazione di un singolare senso avveniva anche solo a vederlo. Non è il mio giudizio su interessanti dettagli della sua vita, in cui parve egli non aver agito da solo, ma a considerar nell’insieme se ne ritrae la conclusione – rivedendolo – che Dio ha una singolare aureola per coloro che più perfettamente e senza riserve hanno praticato il massimo dei precetti.
Quella irradiazione diffondeva pace e letizia, il che era grazia di Dio, ma consentanea sempre alla carità senza misura, capace di bruciare tutti i travagli per non offrire agli altri nulla che non fosse serenità e gioia.
Così fu nel vecchio e nel nuovo mondo, ma con tali evidenti segni del passaggio di Dio, che quanti furono strumenti della Provvidenza possono sentire su di loro il decoro e l’onore d’essere stati alla loro generosità supernamente prescelti.
TRATTI CARATTERISTICI
Tema della sua vita fu il concetto evangelico della carità; la sua vita ne fu lo svolgimento rigoroso; carattere forte ed universale, col suo stupendo inserimento nella virtù della fede.
Ha forzato i limiti delle ordinarie preoccupazioni di beneficenza. Si occupa di quelli che non rientrano, o vi rientrano più difficilmente, negli schemi ordinari della miseria. I respinti da tutti oggi tendono a diventare folla. Il tempo è ingeneroso; fa pensare che il problema dell’assistenza non si risolverà mai in pieno con dei soli articoli di legge o con delle sole prestazioni meccaniche e mercenarie.
Ai figli ha lasciato:
per sé grande povertà
generosa illimitata fiducia
semplicità rude e coraggiosa nell’intraprendere
imponente indifferenza del denaro.
La suaopera non si esaurisce negli Istituti; l’esempio dato, lo spiritodato ai figli.
Al costume di rallentare la forza dell’istituto famigliare privando molti figli del nerbo d’una educazione, Dio si direbbe abbia contrapposto Don Bosco, l’educatore.
Al più corrotto costume di accumulare sul margine della via i rifiuti d’ogni colpa, i relitti d’ogni esperienza (prova che il freddo umanesimo popola i cimiteri e inaridisce ogni sorriso) e la devastazione continua, la Provvidenza manda Don Orione.
Ispira tranquillità e fiducia il constatato fatto che con impressionante puntualità e fedeltà l’amorosa provvidenza di Dio accende via via ed a suo tempo i fari per inondare di luce le successive zone d’ombra. Questi fari accesi documentano la inessiccabile sorgente per cui l’annoso tronco evangelico vive e tende i suoi rami per ogni età e per ogni calura.
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Nel 1944, 16 marzo, il cardinale Siri, allora Vescovo ausiliare di Genova, commemorando Don Orione, difendeva il suo apostolato cristiano a favore dei più piccoli figli di Dio, i “buonifigli”, e stigmatizzava le teorie razziste allora in voga.
“Se si dovesse fare una scelta, io credo che prima di eliminare gli inutili bisognerebbe eliminare i nocivi. Ma chi sono gli inutili? Forse quelli che non possono valersi da soli eppure riescono per sé e per chi li aiuta fonte di ricchezze eterne? E non sono più inutili, quando non sono nocivi, coloro che accumulano ricchezze per questa vita, quelli che non ammassano capitali per il Cielo, quanti dimenticano le cose più importanti: Dio, l’anima, l’eternità, e si danno alla caccia delle caduche e misere cose di quaggiù?
Non è facile dare la dimensione del volontario in questi esseri umani, ma possiamo ben essere certi che stessono essi offrono una corrispondenza assoluta e totale al movente della Grazia che opera e dà vita, mentre a volte i soggetti normali chiudono la mente e il cuore alla mozione di Dio. ‘Quelli che noi chiamiamo ritardati – dice Don Orione – talvolta ci sopravanzano nel cammino della semplicità, dell’umiltà, della dedizione’.
In questi 25 anni sono passati dalla scena del mondo uomini che sembrava lo tenessero in mano e ne potessero fare quanto volevano. Quante favole che si passavano di bocca in bocca e volevano fare epoca ormai non si raccontano più, se non con disprezzo ed esecrazione, mentre questi figliuoli, né nocivi né inutili, sono rimasti indisturbati e fedeli al loro umile posto di battaglia, in preghiera e generosa sofferenza, davanti al Re della pace, al Re dei cuori”.
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IL GRAZIE A DON ORIONE
Genova, 18.11.1972. Commemorazione di Don Orione a Palazzo S. Giorgio. La relazione principale fu tenuta dall’On. Roberto Lucifredi, Vice Presidente della Camera. Il Card. Siri intervenne con un breve saluto. Testo trascritto dalla registrazione.
Quest’oggi Genova ha voluto ringraziare Don Orione, perché, nel nostro secolo, non c’è stato nessuno che abbia avuto un tale arco, ampio, di imprese nell’assistenza. Per questo ricordiamoci che migliaia e migliaia di persone hanno sofferto meno, perché c’è stato lui. Lo ringraziamo perché ha fatto un miracolo notevole, cioè è riuscito a infondere nella sua Opera e nelle Congregazioni da lui fondate uno spirito di resistenza, di consistenza e coerenza, che rimane immutato. Che, dopo decenni, rimangano immutate certe opere è un miracolo. E credo che, se pur non è tale da poter essere presentato canonicamente per la sua beatificazione, questo sia il miracolo suo. Noi vogliamo ringraziarlo.
Ma io vorrei sottolineare che Don Orione è un indicatore per noi, è un’antenna, perché con tutta la sua opera ha insegnato che non ci sono soltanto gli affamati a questo mondo. A questi è facile che si pensi; ma ci sono anche i disgraziati, quelli ai quali la natura è stata avara. È questa l’indicazione: non ci sono solo gli affamati, ci sono i disgraziati. E se è facile andare incontro agli affamati, perché basta aprire il portafoglio, per andare incontro ai disgraziati ci vuole l’anima, la mente, il cuore, la dedizione.
Credo che Don Orione entri in un grande disegno. Noi abbiamo il benessere, abbiamo la tecnica: stiamo per soffocare. Il benessere ha fatto una cosa, alla quale non si pensa: ha aumentato le distanze con quelli che stanno male e sono disgraziati: non le ha ravvicinate le distanze, perché il fatto che è cresciuto per molti lo stare bene è diventato più evidente per gli altri lo stare male ed essere disgraziati.
Don Orione mette il dito su questo, e voi capite che il discorso potrebbe continuare. Ma se le distanze non si sono ravvicinate, e si sono allontanate, ciò significa che bisogna imparare a chinarsi di più, non a chinarsi di meno, a dare di più, a offrire, di noi, di più.
Però, se questa figura di Don Orione ha ancora la potenza di fare scattare, è segno che il linguaggio della carità, dell’amore, della dedizione è ancora capace di superare tutte le barriere e di fondere tutti gli uomini.
Card. Dionigi Tettamanzi
LA CARITÀ COME CULTURA
Don Orione voleva affermare il valore sociale della carità: (1) è precisamente questo valore a renderla una realtà diversa da un semplice raccogliere, per così dire spigolando, i mali di oggi e cercare di porvi rimedio. La carità è una realtà più profonda e originale: nel progetto di Don Orione la carità è il segno vivo di una testimonianza cristiana, di una testimonianza talmente forte da conquistare e attrarre gli uomini all’interno del popolo di Dio. Riprendiamo le sue stesse parole: “Noi, attraverso i rottami della società, cerchiamo che non si rompa, ma si alimenti l’unione, l’amore al Papa. Questo – dei rottami – deve essere il nostro filo conduttore”. (2)
Così il Piccolo Cottolengo è allora uno strumento più che uno scopo, un veicolo più che un traguardo, un’azione intenzionale che sprigiona un cambiamento di cultura – ossia di mentalità e di gesti concreti – , quasi una eco viva della parola conclusiva della parabola del Buon Samaritano “vai e fai altrettanto” (Lc 10,37). Infatti il Piccolo Cottolengo Don Orione non è stato costruito solo in funzione dei suoi ospiti, ma, come diceva Don Orione stesso guardando al futuro, “diventerà la ‘cittadella spirituale di Genova’. Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! – continuava – Il Piccolo Cottolengo sarà un faro gigantesco che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale anche oltre Genova e oltre l’Italia”. (3)
Ma questo sarà possibile se al Cottolengo si affiancheranno luoghi e momenti nei quali la sua azione “profetica” o di annuncio viene studiata e indagata, approfondita e chiarita nelle sue autentiche finalità.
Carità e annuncio, carità e cultura si richiamano a vicenda. In realtà, se un’opera si chiude in se stessa e non viene fatta conoscere, è come se non esistesse, almeno a livello di significato sociale. Oltre a fare il bene, è necessario dunque trovare il linguaggio per raccontarlo al mondo, certo con giusto pudore nei riguardi di noi stessi e con grande delicatezza nei riguardi di chi riceve il bene ma anche con convinzione e decisione, mettendo al centro il povero; questo, evidentemente, secondo lo spirito evangelico; al di fuori quindi di ogni sterile sentimentalismo e ancor più di ogni insulsa demagogia. In un certo senso, non è carità vera quella di un’opera che non si racconta, che non è visitata da nessuno, che non viene capita né spiegata all’uomo d’oggi. Se l’opera non è anche notizia, “buona novella”, è monca, in qualche modo non serve. Non è forse questo che intende dire il Signore Gesù con l’immagine della lucerna? “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15). E conclude; “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).
Mi vengono in mente alcune interessantissime espressioni dei Vescovi italiani che nei loro “Orientamenti pastorali per gli anni ‘90” dal titolo Evangelizzazione e testimonianza della carità scrivono, tra l’altro: “La ‘nuova evangelizzazione’, a cui Giovanni Paolo II chiama con insistenza la Chiesa, consiste anzitutto nell’accompagnare chi viene toccato dalla testimonianza dell’amore a percorrere l’itinerario che conduce, non arbitrariamente ma per logica interna dello stesso amore cristiano, alla confessione esplicita della fede e all’appartenenza piena alla Chiesa. Per sottolineare questo profondo legame tra evangelizzazione e carità abbiamo scelto, quasi filo conduttore della nostra riflessione, l’espressione ‘vangelo della carità’. Vangelo ricorda la parola che annuncia, racconta, spiega e insegna. All’uomo non basta esser amato, né amare. Ha bisogno di sapere e di capire: l’uomo ha bisogno di verità. E carità ricorda che il centro del vangelo, la ‘lieta notizia’, è l’amore di Dio per l’uomo e, in risposta, l’amore dell’uomo per i fratelli (cf 1 Gv 3, 16; 4, 19-21). E ricorda – di conseguenza – che l’evangelizzazione deve passare in modo privilegiato attraverso la via della carità reciproca, del dono e del servizio” (n.10).
Alla luce del valore sociale della carità e del rapporto tra carità e cultura, Don Orione raccomandava ai suoi figli “il nobile scopo di istruire ed elevare il popolo facendo risplendere alla mente del popolo la bellezza della verità e della virtù, del sapere: e nel nome di Dio educare all’Italia dei cittadini di cui abbia ad onorarsi”. (4) È esattamente la stessa azione e lo stesso scopo che Don Orione aveva in mente quando definiva i membri della sua Congregazione quali “gesuiti del popolo” , capaci di diffondere la cultura cristianamente ispirata non solo nei luoghi dove istituzionalmente si riflette e si pensa, ma anche dove si lavora e si vive, si soffre e si spera: nel popolo, appunto.
L’aggettivo popolare non significa affatto semplicistico, né tanto meno banale o sciocco. Per Don Orione ha una risonanza e un significato del tutto particolare, che supera l’accezione del Volk di scuola tedesca e che si avvicina piuttosto al valore di popolo di Dio, che è la Chiesa. L’anima popolare di Don Orione si esprime, ad esempio, in queste sue parole: “Cercare e medicare le piaghe del popolo, cercare le infermità: andargli incontro nel morale e nel materiale. In questo modo la nostra azione sarà non solamente efficace, ma profondamente cristiana e salvatrice. Cristo andò al popolo! Sollevare il popolo, mitigare i dolori, risanarlo. Deve starci a cuore il popolo. L’Opera della Divina provvidenza è per il popolo”. (5)
Come si vede, non siamo affatto dinanzi a un populismo fine a se stesso: in questo Don Orione è di una chiarezza cristallina, diventando persino ripetitivo. Ogniqualvolta egli tenta di descrivere il suo progetto, vicino al popolo mette sempre anche la Chiesa e il Papa: portare i poveri al Papa, diffondere l’amore a Gesù Cristo e alla Chiesa, dare Cristo al popolo e il popolo al Vicario di Cristo. Ecco un significativo testo, in occasione del suo 25° di Messa.
“Mai come ai nostri tempi il popolo fu staccato dalla Chiesa e dal Papa; ed ecco quanto è provvidenziale che questo amore sia risvegliato con tutti i mezzi possibili, perché ritorni a vivere nelle anime l’amore di Gesù Cristo. (…) Quanto maggiormente sarà sentito l’amore al Papa e alla Chiesa, in coloro che per ragioni di ministero sono maestri dei popoli, di altrettanto sarà più ardente la fiamma che li agita nel comunicare alle anime questo sentimento, senza del quale nessuna partecipazione di vita soprannaturale potrà avvenire; in tal modo l’esercizio della carità raggiungerà perfettamente il suo scopo corrispondente ai bisogni dei nostri tempi, che è precisamente questo: di ricondurre la società a Dio riunendola al Papa e alla Chiesa (…). Quella carità pertanto che viene esercitata nella società nostra prendendo le mosse dall’amore al Papa e alla Chiesa, e mirando al raggiungimento di questo amore in tutti, è precisamente quella che meglio risponde al bisogno dei tempi. E tale è lo spirito di cui è informata l’Opera della Divina provvidenza, tale è la sua fisionomia, il suo carattere tipico: Instaurare omnia in Christo”. (6)
Mi è caro riproporre ancora alcune splendide parole di Don Orione.
“Noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina, che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro che alle anime da salvare. Se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembreranno più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. Anime e anime! Ecco tutta la nostra vita; ecco il nostro grido, il nostro programma, tutta la nostra anima, tutto il nostro cuore: Anime e anime! Ma, per meglio riuscire a salvare le anime, bisogna pur sapere adottare certi metodi e non fossilizzarci nelle forme, se le forme non piacciono più, se diventano, o sono diventate, antiquate e fuori uso…Anche quelle forme, quelle usanze, che a noi possano sembrare un po’ laiche, rispettiamole e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezze di testa: salvare la sostanza, bisogna! Questo è il tutto. I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa”. (7)
Queste ultime parole di Don Orione mi portano a parlare di tutte quelle persone che vogliono “camminare alla testa dei tempi” e che hanno decisamente colmato quell’ “abisso” che talvolta esiste tra il popolo, da un lato, e Dio e la Chiesa, dall’altro lato. L’impegno è di aiutare anche altri a colmarlo, questo abisso, suscitando e alimentando una vera e propria cultura della carità: una carità, dunque, che viene sempre più scoperta nella straordinaria ricchezza e bellezza dei suoi significati umani e cristiani e che si fa annuncio e testimonianza del Vangelo che libera e salva.
N O T E
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1. Il Card. Dionigi Tettamanzi è l’attuale arcivescovo di Genova. Testo tratto della lezione tenuta in occasione della inaugurazione della Università Popolare Don Orione, a Genova, il 12 marzo 1999, sul tema Il carisma orionino e la carità come cultura.
2. Lo spirito di Don Orione I, p.45.
3. Don Orione. Le lettere I 53,7.
4. Cfr. Scritti di Don Orione 52, 249. In altra occasione scrisse: “Io vorrei fare di Paverano un Istituto di cui la Provincia e Genova abbiano sempre più ad onorarsi: carità e scienza!”, Scritti di Don Orione 37, 245.
5. Lo spirito di Don Orione VII, p.102.
6. Nella prima giubilare ricorrenza della fondazione della Piccola opera della Divina provvidenza e del 25° di Messa del Direttore Don Luigi Orione, Tortona, 13 aprile 1920, p. 10; cfr. anche Lo spirito di Don Orione VII, 42-43.
7. Scritti di Don Orione 20, 96-97.
Don Gianni Baget Bozzo
QUELLE PAROLE POTENTI E COMUNI, PIENE DI DIO
Leggere Don Orione è ricordare un tempo glorioso della Chiesa in cui quelle parole, qui così viventi nello Spirito, erano anche un lessico comune. E se la potenza della grazia rendeva travolgente quel dire erano sempre parole comuni di un prete negli anni della mia giovinezza. Ora sul parlare del prete è sceso un vuoto, non vi si trascrivono più le parole della Sapienza: quasi quelle parole non abbiano più la forza del senso comune, non siano più trascritte nel linguaggio implicito che diciamo anche quando non pronunziamo parole. In Don Orione la fede e la carità sono una sola cosa: l’amore per il Cristo re, l’amore per il Papa sono un solo amore; l’amore per i lontani ed i peccatori è la stessa cosa dell’amore per Dio. L’amore di Dio per noi e l’amore di noi per Dio, non si distinguono, l’Amore stesso che è Unità, ha consumato ogni divisione.
Mi ricordo gli anni Quaranta, in cui essere cattolico era cosa semplice, in cui non dovevi sezionare il tuo cuore secondo la molteplicità delle intenzioni. La molteplicità delle buone cause soffoca l’impeto ardente dell’unica voce che vuole semplificare nell’Uno la molteplicità del creato. Don Orione vede il Molteplice nell’uno e sa trovare nella fede la chiave della carità e nella carità l’essenza della fede. Oggi non ci è più dato! Oggi se crediamo troppo, siamo integristi fondamentalisti, se crediamo troppo poco siamo mondani dediti ai piaceri del secolo. Oggi non ci è dato di fondere il molteplice nell’uno e gridare “viva il Papa” senza offendere i fratelli separati e diminuire il ruolo dei teologi e dei vescovi. La Chiesa di don Orione era semplice, ora abbiamo una Chiesa complessa.
Oggi il prete deve parlare di globalizzazione e di condivisione, deve parlare il linguaggio politicamente corretto, ecclesiasticamente corretto. E come può allora l’Unità divina invadere della sua Essenza la molteplicità umana e cogliere nella pienezza della Chiesa il segno sacro che include e conclude tutta la storia? Tempo di don Orione come sei lontano! So che il mio vescovo amato, Giuseppe Siri, venerava don Orione come padre della sua vocazione. Ma egli stesso cadde vittima quercia affranta della molteplicità del linguaggio in cui bisognava distinguere tra Santa Chiesa ed i tanti popoli di Dio, che si moltiplicavano come le foglie e come le foglie dileguavano.
Forse Don Orione tu hai previsto il sangue d’Europa, il nazismo e il comunismo, la Chiesa fatta schiava e gli uomini ridotti a numeri, hai intuito le ferite terrestri del corpo del Cristo. Ma non avevi ancora visto le ferite invisibili, le ferite non nel corpo della Chiesa, ma nella sua anima. E che sono diverse da quelle dei tuoi anni perché quelle erano ferite che si conoscevano, chi si separava dalla fede sapeva quel che faceva; non è come oggi abbandonare una tunica stracciata. Ricordo i tuoi funerali, moriva il prete del tuo secolo, il prete in cui la fede era la stessa cosa della carità.
E doveva nascere il prete della fede segreta strappata a brandelli dai libri dei teologi dalle circolari delle congregazioni, dalle pastorali dei vescovi in cui tutto è detto così bene da togliere quell’Eccesso verbale in cui propriamente si dona l’Eccesso divino. Don Orione, tu non hai ascoltato le canzoni orribili “chiesa di Dio popolo in festa”, non hai conosciuto il gracchiare delle chitarre, si cantava solo il gregoriano e la canzone devota, non la banalità resa immune dal sacro svanito. Tu don Orione non hai conosciuto lo stingersi del Segno, l’impallidire del Sacro. Hai conosciuto una Chiesa peccatrice, beata Chiesa peccatrice. Non hai conosciuto una Chiesa mondana, giusta in cui il sale non è più presente e, se lo fosse, sarebbe un ingrediente imbarazzante. Non hai conosciuto la Chiesa diventata pallida immagine di ciò che il mondo vuole che sia la Chiesa. Abbiamo il prete dei drogati, delle prostitute, dei preservativi, questi sono i volti della carità, televisivamente oculata.
Don Orione hai visto Babilonia in Gerusalemme. Dacci i tuoi occhi per vedere Gerusalemme in Babilonia.