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Messaggi Don Orione
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Autore: Pietro Borzomati
Pubblicato in: L’Osservatore Romano, 23.3.2002, p.3.

Nota dello storico Pietro Borzomati sul Convegno "Don Orione e il Novecento", Roma 1-3 marzo 2002.

Un progetto frutto di preghiera e di contemplazione

PIETRO BORZOMATI

 

La storiografia ha, opportunamente, rivolto l’attenzione alla storia del Novecento per una reinterpretazione rigorosa e per colmare quelle lacune, relativamente ad alcuni periodi e protagonisti che avrebbero meritato ricerche e riflessioni più approfondite. Indubbiamente, ad esempio, il fatto che non vi siano le preclusioni di un tempo su aspetti religiosi è di grande utilità per una storia degli uomini e non dell’uomo, ma, ancora, siamo ben lontani da una diffusa convinzione, più volte sperimentata, della valenza di quella metodologia che indica nella santità, nella spiritualità e nella pietà una fonte importante per far luce sul passato.

Una esemplificazione significativa è, ad esempio, quella relativa alla vita ed alle opere di don Orione (su cui recentemente è stato tenuto il convegno "Don Orione e il Novecento"), un protagonista che ha lasciato segni tangibili nella vita di ogni giorno dei primi decenni del secolo scorso. Un’opera delicata ed importante del prete di Tortona rivolta a tutti coloro che per ragioni diverse sono stati incompresi e perseguitati, agli «ultimi» e prevalentemente agli orfani, agli oppressi ma anche agli intellettuali in difficoltà. Fu un grande prete innamorato della Chiesa, obbediente alla gerarchia, non insensibile al progresso scientifico a condizione però che non ledesse la dignità degli uomini.
L’alta pastoralità del Beato ha avuto fertili motivazioni sociali e religiose che ebbero momenti molto significativi nella sua esortazione ai cristiani ad operare per il bene comune, ciò in anni difficili a causa dell’opera di oppressione di un notabilato proteso a strumentalizzare le classi meno abbienti per trarne profitti. Non meno importante è stata l’azione a favore dei giovani attraverso istituzioni scolastiche che in quegli anni costituirono una sorprendente novità. Efficace ed esemplare è stata, poi, l’opera del Mezzogiorno, anche con la promozione di colonie agricole ed eccezionale il suo donarsi con amore agli orfani del terremoto di Messina ed a Reggio nel 1908; molto ricco è stato, inoltre, il suo servizio ecclesiale nella diocesi di Messina, dopo il sisma, come vicario generale nominato da Pio X.

Una vita molto intensa costellata da costanti rapporti con persone diverse, particolarmente con gli adolescenti, con le anime desiderose di perfezione ma anche con alte personalità civili ed ecclesiali, sempre con umiltà e rispetto per i suoi interlocutori. È, indubbiamente, quello di don Orione il caso emblematico di un credente ricco di una spiritualità che stimola ed alimenta l’azione, con una eccezionale vita interiore resa robusta dalla pietà eucaristica e che si salda ad esperienze di ascetica e mistica. Ha, poi, una originalità il suo rapporto con i fondatori e protagonisti di non pochi istituti di vita consacrata a cui offre, senza mai interferire sulle scelte, ogni aiuto.

Il beato Angelo Roncalli ha scritto che «era convinto che si potesse conquistare il mondo con l’amore»; per questo ha scritto nelle Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenzae delle Piccole Suore Missionarie della Carità che avrebbero dovuto privilegiare «i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o più abbandonati, mediante l’insegnamento della dottrina cristiana e le pratiche delle Opere evangeliche della misericordia».

La storia dei poveri dell’Italia e del mondo si arricchisce di questo servizio orionino, di un progetto che non è frutto di attivismo più o meno disordinato, ma di contemplazione e di preghiera. Il beato di Tortona del resto non aveva fatto misteri circa le finalità delle sue istituzioni: «noi siamo di quelli che seguono Gesù solo fino allo spezzare del pane» ed «andiamo sempre avanti fino a bere il calice della Passione, se vogliamo avere parte con Cristo». Sono asserzioni che spiegano le vere finalità del progetto che era in sintonia con i voleri di Dio e che avrebbe dovuto essere realizzato da un uomo umile, un santo che nel Tabernacolo trovava la linfa vitale per il buon successo dei suoi disegni.

Tutto ciò, in vario modo, aveva una sua utilità per l’avvento del Regno ed il servizio agli ultimi trovava don Orione sempre disponibile ed è per questo che era spinto alla ricerca di interlocutori con cui confrontarsi, non mancando persino di realizzare iniziative di «carità culturale». La carità «culturale» la esercitò con Ignazio Silone che scrisse del suo incontro con il beato una pagina suggestiva e favorendo il viaggio e la testimonianza di Jacques Maritain in Argentina. Egli era consapevole ancor più del ruolo della cultura per la ricerca della via verso la perfezione, soprattutto dopo una attenta lettura delle poesie di don Clemente Rebora. Egli stesso scrisse tesi per valorizzare la teologia ed era convinto che «tutti gli studiosi devono prendere da noi come mezzo per elevare la mente a Dio». Apprezzò Rosmini augurandosi che «i cari figlioli di Lui che hanno tanto patito troveranno consolazione».

Le approfondite letture, gli studi e la corrispondenza con molte personalità del mondo ecclesiale e culturale, i rapporti intensi con Pio X, l’avere trovato in don Guanella il suo santo a cui raccomandarsi per ricevere conforto interiore, l’amicizia con don Montini ed altri prelati di curia arricchirono le sue esperienze ed i suoi progetti di grande valore sociale e religioso. Ed è stata la carità a rendere saldo il suo rapporto con personalità della vita sociale e religiosa di questo secolo «pieno di gelo e di morte – così scriveva – nella vita dello spirito».

Divo Barsotti ha scritto che don Orione «è stato definito l’uomo della carità, e davvero pochi santi hanno rivelato il miracolo, il mistero della carità come don Orione». È una affermazione ricca di significato ed è sintesi della sua illuminata e multiforme missione protesa verso il mondo dei diseredati, una missione da cui trasse profitto interiore e che rese ricca la sua Opera della Divina Provvidenza e tutte le istituzioni da Lui promosse. Egli potrebbe essere definito il san Francesco del Novecento, non solo per essere stato un contemplativo e per il suo radicale distacco dai beni della terra che rendeva saldo il suo sposalizio con Madonna Povertà, ma per l’essersi sempre attestato dalla parte dei poveri e degli oppressi. Ha scritto che il fine della sua congregazione «umile», è quello di condurre «le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, per le vie della carità». E così è stato.

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