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Messaggi Don Orione
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La storia dell'Istituto Marco Soranzo a partire dal 1919 fino ai nostri giorni.

L’ISTITUTO MARCO SORANZO

DI CAMPOCROCE DI MIRANO (VE)

Don Flavio Peloso[1]

 

   1919                                                                    2019


Il tema dello sviluppo della Congregazione orionina nel Veneto è di grande importanza storica e in questo articolo sarà presentata una visione globale di tutte le case e attività della Congregazione, comprese nell’arco di cento anni.

Il santo fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, San Luigi Orione, era nativo di Pontecurone (Alessandria), ai confini con la provincia di Pavia e della Lombardia. A Tortona, nacque e si sviluppò la sua Congregazione e la sua componente iniziale, umana e sociologica, fu piemontese-lombarda. La seconda consistente componente di religiosi della Congregazione fu quella proveniente dal Veneto. Infatti, qui, tra il 1919 e il 1923, vi furono aperte ben sei case.

 

Don Orione nel Veneto

Don Orione conobbe il Veneto quando, tra il 1908 e il 1912, fu più volte a Lonigo (Vicenza), ove aveva una comunità con il "Ricreatorio Pio X" con doposcuola, gioco, catechismo.[2]

Si può dire che Don Orione conobbe il Veneto attraverso l’amicizia con il “suo” Papa, San Pio X. “Dio fece nascere Pio X a Riese, villaggio Veneto – scrisse Don Orione - non proprio nella miseria, ma in una grande povertà. Non è la ricchezza la benedizione di Dio. Dio ha di meglio da dare: un sangue puro, un gran cuore, una gran fede. Popolazione laboriosa e popolazione cristiana moralmente sana; ricchezza di uno Stato e ricchezza di Dio. «Da noi altri italiani - dirà un giorno Pio X - la fede è come un dono di natura»”.[3]

Dal 1917 riprendono le visite e le brevi permanenze, di Don Orione nella regione veneta. Infatti, il Patriarca di Venezia, card. Pietro La Fontaine ricorse a lui per risolvere alcune ferite sociali lasciate dalla grande guerra mondiale. Fu il Patriarca a interessarsi affinché la Congregazione di Carità di Venezia affidasse alla Piccola Opera di Don Orione la gestione di due importanti istituzioni cittadine: l’Istituto Manin in Lista di Spagna, per orfani, e l’Istituto San Gerolamo Emiliani alle Zattere, per artigianelli.[4]

Il patriarca Pietro La Fontaine, sempre in quell’anno 1919, chiese ancora a Don Orione di prendersi carico anche della Parrocchia Santo Stefano di Caorle, in una drammatica situazione di desolazione e di malaria dopo l’abbandono della popolazione durante la seconda guerra mondiale.[5]

Don Orione era sorpreso e seguiva con attenzione quanto stava succedendo nel Veneto, dove gli si aprivano porte e campi di apostolato uno dopo l’altro.
 

 

Villa Soranzo di Campocroce di Mirano

Nel maggio 1919, si prospetta una nuova apertura. “Don Sterpi fu qui (a Tortona) per 48 ore, e ripartì ieri sera per Venezia, dove facilmente domani dovrò raggiungerlo! Preghi: ci si preparano grandi campi di lavoro. Ci venne data già una Colonia Agricola a 3/4 d’ora da Venezia; ora i due più grandi istituti laici di Venezia stanno per venire nelle nostre mani (sarebbero almeno 400 orfani) con grande consolazione del Patriarca. Bisogna pregare molto”.[6]

In quell’estate del 1919, mentre veniva conclusa l’assunzione da parte della Congregazione dei due prestigiosi edifici dell’Istituto Manin e dell’Istituto Artigianelli in Venezia, un’altra donazione, sempre propiziata dal card. Pietro La Fontaine, veniva proposta a Don Orione: la Villa e i terreni del conte Marco Soranzo a Campocroce di Mirano, nell’immediato entroterra veneziano.[7]

Campocroce è un paese compreso nell’area del Graticolato Romano. Si tratta di una vasta zona pianeggiante, fra le provincie di Padova e Venezia, suddivisa in aree quadrate della misura di 710 mt. di lato. Era una forma di lottizzazione agraria, attuata dai romani nel corso del secolo I a. C., sul modello delle centuriazioni degli accampamenti dell’esercito romano. Queste aree erano solitamente governate da legionari in congedo.

Anche attualmente, il tracciato originale del Graticolato romano è molto riconoscibile e, visto dall’alto, appare come una grande scacchiera, estesa per 21 km da est ad ovest e per 18,5 km da nord a sud. Durante la prima cristianizzazione della zona furono erette chiese, edicole e croci nei punti importanti del Graticolato. Il nome Campocroce allude ad un luogo di culto paleocristiano nel quale spiccava una grande Croce.[8] La campagna del Graticolato romano, con la sua efficiente rete di canalizzazione, era piuttosto fertile e salubre. Nell’epoca della Serenissima Repubblica di Venezia divenne ambito luogo di insediamento di molte belle ville dei signori veneziani.

Il conte Marzo Soranzo era un avvocato veneziano. Apparteneva alla famiglia del ramo San Barnaba dell’antica e nobile famiglia dei Soranzo (detti alle origini Superantius).[9]

Si conosce poco della vita del conte Marco Soranzo anteriore al contatto con la Congregazione. Era conosciuta la sua Villa di campagna, a Campocroce, all’incrocio di due vie del Graticolato romano, fra Mirano e Santa Maria di Sala.[10]

Il conte Marco Soranzo alla nobiltà univa la pietà. "Era un nobile in tutto", ricordavano gli anziani del paese e soprattutto quelli del Canaceo, la via in cui si trova la villa. "Faceva penitenza, viveva da povero. Aiutava i poveri, ma senza farsi vedere. Voleva bene specialmente ai ragazzi e volentieri nel mese di maggio, recitava con loro il Rosario nella sua cappella;[11] poi alla fine regalava a tutti 2 centesimi". "Io lo accompagnavo ogni 15 giorni a Veternigo col cavallo", ricorda un altro anziano. "Là allora era parroco Don Bottio, nipote di Pio X; il Conte si confessava da lui e intanto voleva che io andassi a bere qualcosa".[12]

Don Domenico Sparpaglione conobbe il Conte personalmente: “Ho potuto conoscerlo durante il suo soggiorno a Sanremo, ospite della casa di Don Orione. La nobiltà gli si leggeva sul volto pallido, diafano, austero e solenne nei lunghi baffi, soffici e bianchi, e nella persona alta e snella sebbene un po' curva. Il direttore, Don Quadrotta, gli faceva buona compagnia. Con noi, chierici liceisti, non familiarizzava; o meglio, eravamo noi che non osavamo avvicinarlo per deferenza e stima”.[13]

La Villa di campagna del conte Marco Soranzo sorgeva a Campocroce di Mirano, in via Canaceo, all’incrocio di due strade del Graticolato romano.

L'edificio, a pianta quadrata, ha la base protetta da una singolare alta fascia di pietra dura. Si eleva per tre piani con i prospetti nord e sud qualificati da due identiche trifore balconate, abbellite da balaustre con i pilastrini elaborati e gli archi centrali sormontati dallo stemma Soranzo. Sulla facciata ovest si aprono, all'altezza dei pianerottoli dello scalone, finestre arcuate in duplice ordine, balconate come le trifore; arcuate sono poi le aperture del piano nobile e tipicamente cinquecentesche le cornici modellate in pietra d'Istria degli ingressi al salone centrale. Tutto contribuisce a conferire all'edificio una sicura eleganza architettonica. La mura di cinta delimitava la villa e il giardino.

L'interno si articola secondo lo schema consueto della villa cinquecentesca. Nella sala passante al piano terra sono stati recentemente messi in luce il soffitto a travi dipinte "alla Sansovino" e un brano particolarmente significativo di affresco che originariamente si estendeva, come testimoniano brandelli a ridosso del soffitto, a tutto il salone.[14] Di rimarchevole poi, all'interno della villa, è il vano scale, spazio che si è conservato integro, caratterizzato dalle singolari duplici volte a cupola dei pianerottoli, curato ed elegante il secondo al pari del primo, pavimentati entrambi a quadri in pietra rossa e bianca e ornate le pietre di contorno da arabeschi incisi; le erte poi dei portali d'ingresso alle scale, all'altezza del piano nobile, portano belle chiavi di volta con mascheroni raffiguranti satiri e leoni.

Non lontano dal complesso sorgono un oratorio tipicamente seicentesco prossimo alla via e, leggermente più spostata verso sud, una barchessa traforata sulla fronte da sette ampie arcate a pieno centro, rivolte verso ovest, ove era un'altra grande villa: sono queste due presenze ciò che resta della demolita villa dei conti Ottolini Casiboni che sorgeva assai prossima alla villa Soranzo. Questi ultimi edifici sono sempre stati considerati parte originaria della villa Soranzo; erano invece parte integrante della villa Ottolini Casiboni. L'oratorio, come attestato da documenti presso l'Archivio Vescovile di Treviso, era stato eretto nel Seicento dagli Ottolini sotto il titolo di Santa Maria Assunta.[15]

Da tempo il Conte pensava di lasciare la sua Villa di Campocroce a un ente religioso e ne parlò al card. La Fontaine con il quale era in relazione. Questi pensò subito a Don Orione, cui aveva già affidato la direzione dell'Istituto Manin in Lista di Spagna e l’Istituto Artigianelli alle Zattere di Venezia.
“Fu allora che il Segretario del Patriarca, mons. Giovanni Costantini, suggerì a Don Sterpi di recarsi assieme a Campocroce, a vedere la Villa. È il maggio 1919; la villa è in disordine per la presenza dei soldati durante la guerra; ma il posto è ideale per i suoi figlioli più piccoli: luogo tranquillo per la preghiera, lo studio e anche adatto, essendovi del terreno, per un po' di lavoro manuale".[16]
Don Orione fu a visitare per la prima volta la Villa dei Soranzo il 22 maggio 1919: “Ieri visitai con don Sterpi la Villa, è veramente una provvidenza di Dio, e adattissima”.[17]

La Congregazione, in quanto enfiteuta, aveva dunque l’obbligo di “migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico in una somma di denaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali”. La somma fu fissata in lire 800, come attesta una quietanza su carta bollata a firma del Conte Michele Soranzo figlio di Marco.[20]

 

La morte del Conte Soranzo

La donazione della Villa di Campocroce si inseriva in una più ampia relazione che il conte Marco Soranzo intese stabilire con Don Orione e la sua Congregazione. Egli familiarizzò sempre più. Lo troviamo ospite a Tortona, a Sanremo e a Roma.[21] Dalla parrocchia di Ognissanti, Don Orione scrive a Don Sterpi il 5 maggio 1920: “Ieri sera, senza preavviso, è giunto qui il Conte. Lo tratteremo il meglio possibile”.[22] E tre giorni dopo aggiunge: “Pare contento; lo faccio mangiare qui nella Casa nuova. Ci fu qui suo figlio”.[23]

Il Conte intendeva vivere i suoi ultimi anni in ambiente religioso, libero da affanni e preoccupazioni mondane. Chiese di essere aggregato ad una delle case dell’Opera. Don Orione pensò subito a Villa Moffa, così affine per collocazione alla Villa di Campocroce; presentò ai confratelli il conte Soranzo come “un signore che venne a farsi della Congregazione (aggregato!) e ci lasciò la sua villa, dove sono gli orfani della guerra”.[24]

L’accoglienza del Conte a Villa Moffa fu un modo per venire incontro al suo desiderio e per ringraziarlo della donazione della Villa di Campocroce. Fu stipulato un accordo, tra don Orione e il Conte Soranzo, in data 25 ottobre 1919.[25] Don Domenico Sparpaglione, allora chierico a Villa Moffa nel 1920, ricorda: “Don Cremaschi gli usava le più delicate attenzioni. Ma la sua compagnia prediletta era quella del buon canonico Ratti, col quale ogni pomeriggio compiva una passeggiatina verso il fontanino e la vigna”.[26]
Il Conte aveva trovato quanto desiderava nell’ambiente di florida natura e di raccoglimento religioso di Villa Moffa. Voleva prepararsi all’incontro con il Signore.[27]

Nel luglio di quell’anno 1920, si tenevano gli esercizi spirituali della Congregazione proprio nella Villa di Campocroce. Impressionò tutti il racconto di un sogno di Don Orione.

"Una donna vestita di lutto, con i capelli neri, scarmigliati sulla fronte, entrò dalla parte del cancello rustico della Villa Soranzo, attraversò il cortile, penetrò con aria di padronanza nell'atrio, imboccò il corridoio che dà alle scale del primo piano e per esso disparve come se cercasse qualcuno. Ridiscesa per la stessa scala, traversò il parco e si portò verso la casa colonica bussando al portone rustico. La scena mutò e apparve un solenne corteo funebre che discendeva da una collina (Campocroce è in pianura). Sul carro funebre trainato da due cavalli, uno bianco e l'altro nero, erano molte corone e molti fiori".

Don Orione credette di ravvisare la Morte venuta a prendersi qualcuno. Allora si era nel mese di luglio. Qualche tempo dopo morirono: il conte Soranzo, e il suo colono che abitava nella parte rustica. Il conte Soranzo spirò santamente nell'ottobre di quell'anno a Villa Moffa di Bra. Il carro funebre che veniva a rilevare la salma era trainato da una splendida pariglia di cavalli, uno bianco e l'altro nero; Villa Moffa è situata a mezza collina. Tutto come nel sogno. I funerali furono curati da certi signori di Bra ai quali i parenti avevano commesso l'incarico. Essi nulla sapevano del sogno. Tutto questo ho appreso dalla viva parola di Don Orione”.[28]

Questo è il sogno. La cronaca ci dice che il conte Soranzo, in quel tempo, era a Villa Moffa e stava bene. Don Orione scrive a Don Cremaschi, superiore a Villa Moffa, il 20 settembre 1920: “Ti raccomando tanto, ma tanto sai il Signor Conte Soranzo: vedi che ci sia pulizia nella sua camera: vedi che ci sia uno incaricato a ripulirgli la camera e a fargli tutti quei piccoli servizî che gli possono occorrere”.[29]

Però, già a settembre, dovette apparire ben presto qualche problema di salute dal momento che Don Orione scrive nuovamente a Don Cremaschi, il 30 settembre: “Pagella accompagni Conte Tortona; avrà ogni cura. Confortatelo”.[30] Il Conte fu a Tortona e poi ritornò a Villa Moffa. “Il Conte Soranzo forse deve avere un cancro. Sta non grave, ma tiene il letto”, informa Don Orione il 5 ottobre.[31] Va a visitarlo e conferma: “Vengo da Bra, dove ‘c’è il Conte Soranzo malato piuttosto grave”.[32]

Il Conte si rese conto della sua situazione e, il 17 ottobre, scrive che “Mia persuasione che questa malattia mi accompagni all’Eternità” per cui diede le sue ultime disposizioni.
Il conte Marco Soranzo morì il 20 ottobre 1920.[33]

 

Gli inizi delle attività (21 giugno 1919)

La Casa del Conte a Campocroce l’ho già offerta a S. Giuseppe per le mani della Madonna”, come scrisse al suo fido collaboratore Don Sterpi.[34] In omaggio al donatore, volle che la villa fosse chiamata “Istituto Marco Soranzo”. Il 21 giugno 1919 , festa di San Luigi, Don Carlo Sterpi vi celebrò la Messa, presente il Conte, cantò l’Ecce quam bonum e ricevette in consegna la villa.
Compiute le riparazioni ai locali danneggiati dalle truppe militari italiane,[36] la Villa, nel luglio del 1919, accolse quattro chierici, tutti reduci dal servizio militare - Bartoli, Giorgis, Castegnaro, Secco - che si preparavano a ricevere l’ordinazione sacerdotale [37] sotto la guida spirituale di Don Carlo Pensa.

Finalmente, già nell’agosto del 1919, l’Istituto Marco Soranzo poté accogliere un primo gruppo di orfanelli provenienti dai luoghi del terremoto di Avezzano. Erano accompagnati dal chierico Cesare Di Salvatore, anch’egli marsicano e orfano del terremoto. A soli 19 anni fu il primo direttore. Svolse il suo compito molto bene, consigliato da Don Sterpi che ogni settimana veniva all’Istituto Soranzo da Venezia per celebrarvi la Messa. Don Bruno Sanguin ricorda: A 200 metri dal Soranzo abitava la mia famiglia; mio padre vi lavorava come falegname; poi Don sterpi lo chiamò a Venezia e con lui, ogni sabato, tornava a Campocroce, percorrendo i 6 km da Dolo all'Istituto a piedi e recitando il rosario”.

Era da poco terminata la grande guerra e l’assistenza agli orfani costituiva una urgente necessità per cui, in poco tempo, la villa fu piena di orfani.

In una lettera del 1923, si chiede alla Regia Finanza di tenere conto che “noi raccogliamo poveri figli e in gran parte orfani di guerra, complessivamente 65 oltre il personale dirigente. L’Istituto di Campocroce è succursale dell’Istituto di Mestre”. Conclude chiedendo che venga condonata la tassa sul vino “data la natura dell’Istituto che è di piena beneficienza, poiché non ha rendite”.[38] Sono conservate le fatture di pagamento delle rette da parte dell’Opera Nazionale Patronato “Regina Elena” per gli orfani del terremoto calabro siculo (28 dicembre 1908) e del terremoto della Marsica (13 gennaio 1915) e anche quelle del Comitato Provinciale Orfani di Guerra di Padova.[39]

Il nome comunemente usato nei primi anni per indicare l’Istituto è Colonia Agricola Soranzo; così è riportato nella carta intestata e negli elenchi delle case della Congregazione.[40] In un Elenco delle Case della Divina Provvidenza del 1924 si legge: “Campocroce di Mirano (Villa Soranzo), Orfanotrofio per Orfani specialmente di guerra, con scuole pubbliche riconosciute di 3. e 4.a Elem.”.[41]

 

Don Orione guidò i primi sviluppi

Le preoccupazioni per provvedere alla vita di quei ragazzi erano grandi, accresciute dalle gravi ristrettezze, comuni a tutta l’Italia dopo la guerra. Don Orione, vicino o lontano che fosse, accompagnò e provvide ai primi sviluppi dell’Istituto. Ne abbiamo traccia nelle lettere di Don Orione.

Ho provvisto un cuoco per Villa Soranzo”.[42]Mando l'eremita fra Giuseppe, e un piccolo eremita frate Antonio, per Villa Soranzo”.[43] “A Campocroce ho trovato denutriti quei ragazzi; mai merenda”, se ne dispiace perché ritiene che qualche responsabilità sia del direttore.[44] Sull’argomento, ritorna in altra lettera a Don Berton: “Quanto ai ragazzi sono tanto contento di averli trovati così numerosi, ma, come già due anni fa, non li ho trovati ben messi né fiorenti di salute come li vorrei. Bisogna alimentarli di più, bisogna dar loro da mangiare: sono nella crescenza, e stanno facendo le ossa. Tutto ciò che è necessario bisogna darlo e qualche cosa di più. Non lesiniamo sul vitto, no, mai, mai!”.[45]

In quegli anni, si viveva una povertà sofferta e combattuta per quanto riguardava le cose essenziali, ma c’era una povertà come stile di vita evangelico. È emblematico l’atteggiamento di Don Orione circa i mobili dei Soranzo che erano rimasti nella Villa. Che farne? Scrive a Don Sterpi: “Per i mobili di Mirano pensavo di venire io a Mirano, perché è inutile ora spedirli a Roma, di dove io parto, e qui, come in tutte le altre Case, desidero che i mobili convengano con quella povertà che noi vogliamo professare, e che dobbiamo professare da Figli della Divina Provvidenza, da poveri. Anche esternamente tutto deve esprimere la nostra povertà, e che sia la povertà di Gesù Cristo… Con questi criteri vi regolerete, nell'inviare a Roma, nel tenere a Mirano, nel conservare o nel vendere i mobili di Mirano”.[46]

Don Orione era contento dell’avvio di quella nuova Casa. “Se abbiamo chiuso Lonigo – scrive a Padre Serra -, abbiamo aperto 5 case nel Veneto: 3 in Venezia, piene di orfani, una a Mestre e un’altra a Mirano, a Campocroce, nella Villa del conte Soranzo, un signore che venne a farsi della Congregazione (aggregato) e ci lasciò la sua villa, dove sono gli orfani della guerra”.[47]

 

Il primo decennio 1919-1930

Nella casa di Campocroce si avvicendarono validi sacerdoti e chierici.

Primo direttore fu Cesare Di Salvatore, nato ad Aschi (L’Aquila). Nel 1919, arrivò al Soranzo con un gruppetto di orfani del terremoto, dei quali Don Orione gli chiese di fare da padre. Aveva soli 19 anni ed era chierico! E fu padre per quei ragazzi fino al 1924. Poi, ordinato sacerdote, partì per l’Argentina e qui morì nel 1943.[48]

Alla guida della Casa di Campocroce gli succedette Don Antonio Berton nel 1924 che vi rimase fino al 1930.[49] Altri orionini che operarono al Soranzo in questo primo decennio furono i chierici Basilio Viano,[50]  Gino Nardi,[51] Salvatore Masci,[52] gli eremiti fra Giuseppe[53] e frate Antonio.[54]  A fine novembre del 1929, Don Orione riuscì a provvedere anche per la Casa di Campocroce la presenza delle Piccole Suore Missionarie della Carità. La loro presenza diede un tocco di attenzione materna e contribuì ad elevare la qualità della cura sia del cibo sia del guardaroba.

Trovandosi in un luogo tranquillo e con un piccolo ma confortevole parco, la villa Soranzo fu scelta da Don Orione come sede degli Esercizi spirituali per i suoi religiosi negli anni 1920, 1921, 1922, 1923 e 1924, ospitando in tal modo molti dei religiosi della Congregazione. Al termine degli esercizi spirituali divenne tradizione tenere delle riunioni in cui Don Orione informava i confratelli sulla vita della Congregazione, consultava, dava disposizioni, condivideva punti di formazione e di sviluppo. Anche per questo, la casa di Campocroce divenne un riferimento morale nella vita della Congregazione.

Della preparazione e il buon funzionamento degli esercizi, si occupava Don Sterpi, mentre Don Orione quasi sempre li predicava. Nell’anno 1921 il Cardinale Patriarca passò nella Villa Soranzo il suo mese di riposo estivo e dall’11 al 21 luglio predicò gli esercizi spirituali.[55] Alla fine degli esercizi, il 20 luglio 1921, si fece una grande processione, con la nuova statua della Madonna, arrivata a Campocroce nel maggio precedente, dono di Maria Fogazzaro.[56] La popolazione si infervorò ed innalzò archi e festoni di verde al passaggio della Madonna. Alla fine, Don Orione fece la predica conclusiva assicurando che la Madonna aveva gradito l’omaggio devoto e, con l’ardore che gli era proprio, aggiunse che la Vergine avrebbe dato un segno della sua protezione. Proprio in quella notte si scatenò un furioso temporale estivo; una devastante grandinata si abbatté tutt’intorno risparmiando solo il territorio di Campocroce. I contadini ricordarono questo evento come “il miracolo della Madonna”.

Gli esercizi del 1921 segnano una basilare data nella storia della Congregazione anche per il fatto che, il 20 luglio, Don Orione e altri sei sacerdoti, che ne avevano i requisiti, emisero il IV voto di “fedeltà al Papa”.[57]

Anche nel 1923, dopo gli esercizi spirituali, si tennero le consuete riunioni dei Confratelli di Congregazione. Furono dedicate principalmente a stabilire gli “Esercizi e pratiche di pietà da eseguirsi nelle case della Piccola Opera della Divina Provvidenza”.[58] Al termine degli esercizi, ci fu l’addio ai missionari in partenza.

Un episodio ameno è ricordato di quei giorni. Per gli esercizi spirituali nel 1923 erano convenuti a Campocroce anche numerosi chierici. È noto che Don Orione non voleva le “acque morte”, amava vedere i ragazzi e i giovani giocare con passione. Ma non voleva che i chierici giocassero al pallone, al calcio. Allora era così.
Un bel giorno d’estate accadde un fattaccio, che divenne epico, sul quale anche Don Orione poi sorrise. I chierici, giocando al pallone, sfondarono i vetri di una finestra della sala ove erano riuniti Don Orione e i superiori. Don Domenico Sparpaglione racconta. 

“Don Orione aveva tuonato come soltanto lui sapeva fare in certi momenti solenni. E noi giovani chierici, rei d’aver sfondato col pallone una finestra della stanza dove i sacerdoti tenevano le loro riunioni, e soprattutto colpevoli di un esagerato entusiasmo calciofilo, dovevamo espiare, sacrificando sul tripode di mattoni quello strumento di dissipazione e intanto recitare una Salve Regina.

Il pallone si gonfiava tra le fiamme a lingue raggianti: era lì per scoppiare. Tutti noi stavamo attorno rassegnati e compunti. Ma nessuno aveva il coraggio di intonare la Salve Regina. Ci pareva una dichiarazione di colpa personale e ciascuno cedeva volentieri la responsabilità diretta agli altri.

Venne in aiuto l’innocentissimo e comprensivo Don Biagio Marabotto intonando la preghiera espiatoria. Il nostro buon padre sorrideva compiaciuto e soddisfatto. In seguito, proprio Don Orione portò di suo pugno qualche emendamento a una mia composizione parodistica che celebrava, su “Giovani a Voi!”, il grande avvenimento”. [59] Don Orione non se la cavava bene con l’inglese, ma alla testa dei tempi sapeva che quel gioco cominciava ad essere chiamato “FOT BALL”.

Agli Esercizi Spirituali del luglio 1924, la cosa più importante comunicata da Don Orione alla fine degli esercizi fu la scelta del titolo sotto il quale, nel futuro, si sarebbe dovuto onorare la Madonna dai Figli della Divina Provvidenza: «Mater Dei».[60]  La scelta dell’immagine ufficiale della “Mater Dei” cadde su un quadro, copia di un dipinto di stile bizantino di antica fattura, conservato a Venezia nell’Istituto Manin. In questo dipinto la Madonna reca in braccio il Bambino; sullo sfondo, in monogrammi, stanno scritte le parole greche “Mèter Theoù” (Madre di Dio).

 

Il Soranzo diventa probandato (1930)

Nel 1927, don Orione scrisse la famosa lettera a tutti i parroci d’Italia conosciuta come “Questua delle vocazioni “.[61] I risultati furono sorprendenti per Don Orione stesso perché affluirono tanti ragazzi e giovani desiderosi di darsi al Signore. Don Orione aprì Probandati[62] in varie regioni d’Italia; erano piccoli Seminari per coltivare i semi di vocazione dei fanciulli.

Visto l’afflusso delle richieste dal Veneto, il Fondatore decise di rendere l’Istituto Marco Soranzo casa di formazione per aspiranti religiosi e sacerdoti della Piccola Opera della Divina Provvidenza.[63]Villa Soranzo sarà trasformata in Probandato, dove saranno messi 30 o 40 ragazzi”,[64] annunciò Don Orione il 29 luglio 1930, dopo gli Esercizi Spirituali.

Fu un momento fondamentale nella storia della Congregazione, perché essa ebbe proprio in questo periodo il suo maggiore sviluppo numerico e anche la sua espansione geografica in tutta l’Italia. “Sono aperti in Tortona a Via Emilia n. 27 (Prov. di Alessandria) e in Voghera Via Emilia 127 (Pr. Pavia); in San Severino Marche (Macerata); a Villa Soranzo in Campocroce di Mirano (Venezia); in Genova e a Roma, appositi Istituti per gli Aspiranti alla umile Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza, sia che essi desiderino di essere Sacerdoti che fratelli laici Coadiutori”. [65]

Don Orione andò personalmente a Campocroce per comunicare il cambio di destinazione della Casa a fine marzo 1930: “Sono stato a Campocroce di Mirano due giorni”.[66] Con l’anno scolastico 1930-1931, l’Istituto cambiò identità: da orfanotrofio divenne seminario. Si cominciò ad accogliere ragazzi dalla quarta e quinta elementare, e successivamente del ginnasio che mostravano disposizione a diventare sacerdoti. Per l’Istituto Marco Soranzo – così ormai sarà definitivamente chiamato - cominciò l’epopea delle vocazioni al sacerdozio: tra tanti ragazzi furono oltre centoventi quelli che divennero sacerdoti dell’Opera.

La gente di Campocroce non vedendo più gli “orfanelli” battezzò subito i nuovi arrivati i “fratini”. Li prese subito a ben volere.

Studio, gioco, devozione e preghiera, santa fatica, allegria, spirito di famiglia, semplicità e povertà erano gli ingredienti di quella pedagogia orionina che si trasmise per contatto a partire dalla personalità incandescente di Don Orione e di cui l’ambiente di Campocroce risultava illuminato e riscaldato attraverso la persona dei suoi buoni religiosi. Ne vennero tanti buoni sacerdoti. Basta scorrere le annate di ingresso al Soranzo per trovarvi i nomi di tanti protagonisti della storia della Congregazione.

1930: Antonio Lanza, Antonio Marangon, Giuseppe Pandiani, Valdastico Pattarello, Antonio Zanon.

1931: Massimo Garbin, Aldo Querini, Ferruccio Netto, Bruno Sanguin, Giovanni Simionato, Umberto Zanatta, Mario Azzalin, Vittorio Vecchiato, Rizzardo Lovadina.

1932: Gerardo Durante, Giuseppe Girelli, Giuseppe Peron, Mario Salmistraro, Giacomo Trevisan.

1933: Luigi Cappelletto, Fortunato Guolo, Silvio Omenetto, Narciso Paragnin, Igino Tessari, Riccardo Sartini.

1934: Angelo Furlanetto, Tarcisio Lovo, Luigi Zani, Nello Marcuzzi, Giovanni Gatto, Valentino Barbiero, Nello Polidori.

1935: Fioravante Agostini, Enrico Brunetta, Alceste Mion.

1936: Ermes Cum, Aldo Dalla Libera, Giovanbattista Dal Fabbro, Agostino Gismondi, Ernesto Furlanetto, Ralino Longhin, Carlo Michieletto, Antonio Pilotto, Carlo Puppin, Domenico Sanguin, Carlo Cimiotti.

1937: Giovanni Bianchin, Vittorio Cenzato, Carlo Mertelj, Mario Pavat, Mario Penza, Evaristo Sordo.

1938: Ivo Bortolato, Angelo Cantarutti, Ettore Paravani.

Preti di stola e di lavoro”, insisteva Don Orione,[67] abituati alla “santa fatica”, umili e volitivi per ogni impresa di bene, prima fra tutte quella della formazione del proprio carattere umano e spirituale. “Quante idee sa aggiustare la zappa!”,[68] diceva. “Non è solo con le prediche che si convertono le anime, ma anche col lavoro”.[69]

All’Istituto Marco Soranzo si lavorava tutti: dall’ufficio quotidiano per tenere pulita e in ordine la casa ai lavori più prolungati nell’orto, nel pollaio, nella stalla, nei campi. A squadre, alcuni, oltre a lavorare nei campi dell’Istituto, andavano ad aiutare i contadini vicini, durante l’estate e soprattutto al tempo dei raccolti di granoturco, uva, tabacco. Quanto ammirazione e riconoscenza suscitavano! C’era chi compensava in denaro e i più con prodotti della terra che andavano a far quadrare il bilancio della Casa sempre in affanno.

Primo superiore del Probandato fu Don Giuseppe Curetti (1930-1933). Gli succedette Don Mario Zanatta (1933-1935), poi benemerito pioniere della Congregazione in Polonia. Don Benedetto Gismondi fu a guida dell’Istituto Marco Soranzo dal 1935 al 1940.

 

Il difficile dopoguerra

Gli echi della guerra mondiale 1940-1945 giungevano alquanto attutiti nella vita del seminario che continuava impegnata e allegra come sempre. Si pregava per la pace ma trapelavano poche notizie. Si vissero maggiori ristrettezze economiche, come ovunque in Italia, ma, in un ambiente di campagna, c’erano i prodotti dei terreni, l’orto, la stalla, il pollaio, qualche albero da frutto e la generosità della gente di Campocroce.

Direttore in questo periodo fu Don Carlo Ravera, dal 1940 al 1944. Don Pellegrino Zannoni fu direttore per un solo anno, dal 1944 al 1945. Dal 1945 al 1951, nel periodo più critico del dopo guerra, fu direttore Don Santino Buffa, cui succedette Don Massimo Garbin, dal 1951 al 1958.

Nel 1951, fu progettata la costruzione di un’ala nuova, ad est della Villa, di tre piani, collegata alla Villa, con evidente deturpamento della bellezza architettonica. Ma le ragioni pratiche – accogliere più ragazzi e disporre di ambienti funzionali alla vita dell’Istituto – prevalsero sulle considerazioni artistiche. Il 6 settembre 1953, avvenne la solenne inaugurazione della nuova costruzione.

A completare l’ampliamento e l’ammodernamento del Seminario mancava solo una nuova e capiente Cappella. Con pochi mezzi economici, ma contando sulla fiducia nella Divina Provvidenza e sul lavoro manuale di sacerdoti, allievi e della gente vicina, la cappella fu costruita ampia, spaziosa e moderna. L’inaugurazione avvenne il 20 settembre 1962.[70]

La storia del seminario di Campocroce ha lasciato traccia negli archivi, in qualche articolo di rivista, ma soprattutto nella vita dei tanti allievi che hanno preso un imprintig indelebile nella propria personalità, dato dai rapporti con la variopinta comunità dei compagni, dalla relazione significativa di sacerdoti e assistenti educatori, dalla presenza quasi sensibile di Dio e del mondo spirituale.

Sacerdoti ed assistenti erano i principali protagonisti della vita del Soranzo. Vivevano una full immersion completa di tempo, di spazio e di ruoli: educatori, insegnanti, sacerdoti, lavoratori, animatori e compagni di gioco. Erano sempre presenti nella vita dei ragazzi, da mattina e sera, compresa la notte trascorsa nelle camerate, con il loro letto separato solo con una tenda dal resto dei letti. Quasi non avevano una vita personale, nel senso di riservata. Concentrati sulla vita dei ragazzi.

Facevano parte dello scenario tutto orionino dell’Istituto Soranzo anche alcuni famigli, persone con limiti e senza famiglia. Erano aiutati e si rendevano utili per qualche servizio in casa: dai primi Gaetano e Gildo a Giovanni e Marco. Bortolo e Riccardo, Mario Poncio.  In guardaroba ci sono state Elvira, Letizia, Betta, fino ai più recenti Ferruccio Basso, Ida Spolaore e poi Amabile Artusi

La lettura dei voti settimanali era un appuntamento amato e anche un poco temuto. Tutti riuniti attorno al Direttore, nella sua più piena e pubblica espressione di padre e maestro, di precettore e di sacerdote benevolo. Era un autentico rito che si svolgeva alla domenica sera prima della benedizione o anche al sabato sera, consisteva nella lettura pubblica dei voti che normalmente riguardavano tre ambiti di vita: condotta, pietà, studio. Nelle singole case, per curare altri aspetti, potevano essere anche di più; a Campocroce, c’era anche il voto di urbanità.

Fu Don Carlo Sterpi a promuovere i voti settimanali in Congregazione, facendone un piccolo ed efficace strumento formativo per i ragazzi, nel periodo in cui il carattere è ancora duttile e si può intervenire, con il cesello della correzione e del plauso, per modellarlo al meglio possibile. La meticolosità delle note dei voti settimanali può essere presa superficialmente come formalismo, ma era segno di cura formativa e strumento per trasmettere valori, rafforzare il carattere, dare uno stile.

Il gioco e i diversi giochi erano parte integrante della vita quotidiana. In cima all’indice di gradimento c’era il gioco del calcio. Nei primi tempi, si ricorreva alla disponibilità d qualche contadino con un campo calpestabile e solo negli anni ‘60 si ricavò un campetto esclusivamente destinato al gioco, quando le condizioni economiche migliorate permisero di sottrarlo alla coltivazione di ortaggi.

Nel cortile ricavato tra villa, ala nuova, chiesa e parco, si giocava soprattutto con più palle una versione di palla. Poi si alternavano altri giochi come bandiera lunga, bandiera divisa, ruba bandiera… Quando il maltempo non permetteva di uscire in cortile, nel salone a pianterreno erano posizionati alcuni calciobalilla, tavoli di ping pong, e su altri tavoli liberi si poteva giocare a dama, scacchi, monopoli, domino, carte.

Il gioco diventava protagonista primo durante l’estate, quando tutta la comunità del Soranzo si trasferiva per un periodo di vacanza in montagna, soprattutto Gallio (VI), ma anche Lastebasse (VI), Samone (TN), Gosaldo (BL).

Il 9 aprile 1961, fu costituita formalmente ed ufficialmente la Sezione di Campocroce dell’Associazione Nazionale Ex Allievi di Don Orione, promossa Don Giuseppe Zambarbieri. Primo presidente della sezione fu eletto il signor Romano Longhin.[71]

"Cari ex alunni, voi siete tanta parte del cuore – scrisse Don Orione. Mantenetevi buoni. Vivete morali e da veri cristiani; pregate, santificate la festa: non arrossite mai del Vangelo né della Chiesa: «senza forza d’animo non c’è virtù», ha detto il Pellico. Abbiate il coraggio del bene e dell’educazione cattolica italiana che vi abbiamo dato".[72]
L'Associazione Ex Allievi ha lo scopo di conservare, consolidare e arricchire tra gli Ex Allievi l’educazione cattolica ricevuta, rinsaldare i vincoli cordiali di amicizia, mantenere l’amicizia e la collaborazione con la Congregazione, favorire il reciproco aiuto, promuovere e sostenere le istituzioni orionine al fine di realizzare il comune programma di “Instaurare omnia in Christo”.[73] Gli Ex Allievi entrarono a far parte fissa e familiare della vita del Soranzo.

 

NUOVE PAGINE DI VITA

Le pagine della vita si susseguirono come i fogli del calendario, anno dopo anno, molto simili e sempre originali nei protagonisti e negli eventi. Ogni direttore costituì un riferimento di sacerdoti, di educatori, di ragazzi, di eventi: Bruno Sanguin (1958-1964), Fioravante Agostini (1964-1968), Ivone Bortolato (1968-1972), Luigi Brazzalotto (1972-1978), Diego Lorenzi (1978-1984), Leonio Lunardi (1984-1989).

Con il giugno 1990, cessò la scuola all’Istituto Marco Soranzo perché i seminari minori erano andati esaurendo la loro funzione nelle mutate condizioni sociali e religiose. Ultimi direttori furono Don Moreno Cattelan (1990-1993) e Don Bruno Lucchini (1993-1994). Con il 1995, cessò del tutto la presenza dei religiosi all’Istituto Soranzo.

Seguì un periodo di transizione e di incertezza per il futuro. L’Istituto Marco Soranzo divenne la residenza di una comunità di riabilitazione educativo/terapeutico (1995-2004).[74] Contemporaneamente si sviluppò l’Orione Musical Group.[75]

Dopo importanti interventi di restauro della casa, il 1° maggio 2009, a Villa Soranzo fu inaugurato il Seminario della vita Don Orione, destinato a bambini e mamme in difficoltà.[76] Il seminario dei sacerdoti continua ancor oggi come seminario della vita.

A conclusione, c’è da dire che cento anni di vita dell’Istituto Marco Soranzo costituiscono un importante capitolo di storia. Il bene fatto è sempre ben fatto, è nelle mani di Dio e nella vita di tante persone e famiglie della vasta zona veneziana e veneta; si è irradiato in Italia e nel mondo per opera di tanti sacerdoti e missionari che a Campocroce si sono formati.

La ricostruzione storica ha delimitato i contorni di una bella parabola della Divina Provvidenza, nella quale fatti ed eventi hanno esiti superiori ed imprevedibili, perché “dove finisce la mano dell’uomo, comincia sempre la mano di Dio, la Provvidenza di Dio”.[77]

 

Flavio Peloso, Istituto Marco Soranzo. Don Orione nel Veneto, STR, Roma, 2019, p.220.

Con le pagine e le foto si può entrare nel clima, nei valori e nelle vicende dell'Istituto Marco Soranzo e, più ampiamente, della Congregazione di Don Orione.

La descrizione narrativa è disposta in ordine cronologico ricorrendo a molte testimonianze perché, insieme al ricordo di dati, fatti e persone, esse trasmettono anche i sentimenti, lo spirito e le emozioni vissute, parte integrante della storia e della formazione.

 

 

 

 


[1] L’articolo riprende documenti e notizie pubblicati in Flavio Peloso, Istituto Marco Soranzo. Don Orione nel Veneto, STR, Roma, 2019, p.220.

[2] Flavio Peloso, San Luigi Orione “per la cara gioventù di Lonigo”, Istituto San Gaetano, Vicenza, 2004.

[3] Scritti 61, 130-131.

[4] Cfr. Luigi Piccardo, Il Servo di Dio Sacerdote Carlo Sterpi (1874- 1974) nel centenario della sua nascita (sarà citato Piccardo), Roma 1975, p. 8-25. Luigi Piccardo ricorda che era ancora chierico, reduce dal fronte, quando accompagnò Don Sterpi e Don Pensa per la visita ai due Istituti; poi fu un protagonista della presenza della Congregazione nel Veneto.

[5] Notizie in Piccardo, p.43-49.

[6] Lettera del 19 maggio 1919 alla marchesina Giuseppina Valdettaro; Scritti 65, 188.

[7] L’articolo è desunto da Flavio Peloso, Istituto Marco Soranzo. Don Orione nel Veneto, Roma, 2019, p.220.

[8] Nei documenti medievali, in latino, viene menzionato Campus Crucis. Un documento del 1292 conferma l'esistenza di Campocroce come rettoria dipendente da Zianigo assieme a Veternigo e Salzano. Cfr Antonio Stangherlin, Ville venete nel comune di Mirano, Mirano Venezia, 1970.

[9] Il nome di questa famiglia è testimoniato già all’epoca della distruzione di Aquileia, poi si trasferì a Belluno. Dopo la costruzione di Venezia, i Soranzo si trasferirono nella città lagunare divenendovi una delle famiglie tribunizie più influenti e di governo. Un Carolus Superantius è nominato nella serie cronologica dei Tribuni di Rivoalto nel 549. Le firme di Manfredus e Petrus appaiono in un documento del 1122. Un Dominicus del 1192 fu uno dei 41 elettori del Doge Enrico Dandolo, il quale nella spedizione di Terra Santa, chiamò come generale delle sue navi, Gabriele e Pietro Soranzo. Giovanni Soranzo fu Doge della Serenissima dal 1312 al 1328. Anche il Manzoni ricorda un “Girolamo Soranzo, inviato de' Veneziani” al cap. 28° dei “Promessi sposi”.

[10] D’estate, a Campocroce arrivavano i “signori” da Venezia sulle loro belle carrozze: oltre ai Soranzo c’erano i Bembo, i Salomon, i Zabeo, i Da Mosto, i Lanza, i Caragiani, i Brusch. Si ritrovavano alla messa granda, lasciando i loro cavalli legati agli anelli di ferro, sfilavano con i loro bei vestiti eleganti e poi, all’uscita, si fermavano a discorrere tra loro.

[11] La chiesetta era staccata un centinaio di metri dalla Villa, bene tenuta. Di essa è conservato un rescritto di Mons. Giuseppe Callegari, Vescovo di Treviso, datato 6 aprile 1881, dopo la sua Visita pastorale a Campocroce: “Visitato secondo le canoniche prescrizioni nel giorno 2 aprile 1881 l’Oratorio pubblico appartenente al Nob. Sig. Girolamo Conte Soranzo dedicato a Maria Vergine Assunta nella Parrocchia di S. Andrea di Campocroce e trovato tutto a dovere… Dato a Mirano nella Sacra Visita Pastorale. Addì 6 aprile 1881 + Giuseppe Vescovo.”

[12] Testimonianze riportate in un Quaderno a stampa per il 50° anniversario del Probandato presso l’Istituto Marco Soranzo, 1969 (citato Quaderno 1969), p.13.

[13] Quaderno 1969, p.16.

[14] Il brano recuperato, incorniciato da un elegante cartouche raffigura una scena di vita familiare in cui si collocano, vicino al caminetto, figure femminili intente ad approntare del cibo.

[15] Secondo una nota di Eugenio Bacchion, l'altare che oggi si vede risulta essere stato acquistato dal conte Marco Soranzo presso il parroco di Salzano Don Antonio Bosa. L'intervento del Soranzo si spiega con il fatto che l'oratorio degli Ottolini, abbandonato da secoli, era stato spogliato di ogni cosa. La competente descrizione della Villa Soranzo ci è giunta senza il nome dell’autore; ADO, cart. Campocroce.

[16] Testimonianza di Don Luigi Piccardo in Quaderno a stampa per il 50° anniversario del Probandato presso l’Istituto Marco Soranzo, 1980 (sarà citato Quaderno 1980), p. 19.

[17] Lettera a Don Pensa del 23 maggio 1919; Scritti 20, 54.

[18] Don Orione diede la delega per firmare l’atto di enfiteusi a Don Carlo Pensa.

[19] Testo riportato in Flavio Peloso, Istituto Marco Soranzo, cit., p. 39-43.

[20] “Venezia 21 aprile 1921. Ricevo dal Rev. Don Pensa Carlo Mario la somma di lire Ottocento (£.800) quale canone di enfiteusi per l’annata agricola 1920 sulla Villa e terreni annessi di Campocroce (Mirano) data al suddetto Don Pensa in enfiteusi con atto notarile Notaio Dott. Carlo Candiani dal compianto mio Padre. Per me e per i mie i fratelli, Soranzo Michele”; ADO, cart. Campocroce.

[21] Informa Don Sterpi, il 14 febbraio 1920: “Scriverò al Conte Soranzo perché sia qui (a Tortona) quando io sono qui”; Scritti 14, 5. Il 25 febbraio 1920: “Sono contento che il Conte Soranzo si trovi bene a S. Remo”; Scritti 14, 13.

[22] Scritti 14, 44,

[23] Scritti 14, 46.

[24] Lettera di Don Orione a Padre Serra del 26 gennaio 1922; Scritti 33, 159.

[25] ADO, cart. Campocroce.

[26] Quaderno 1969, p.16.

[27] Con lettera del 27 luglio 1920, diede precise indicazioni per il suo funerale - “il mio servizio funebre sia esclusivamente religioso evitandone ogni vana pompa” - da celebrare a Venezia, in San Michele in Isola.

[28] Il testo è di Don Domenico Sparpaglione, presente tra gli ascoltatori, ADO, cart. Campocroce. Mons. Felice Cribellati, vescovo orionino pure presente, ne parla nella sua testimonianza al Processo di canonizzazione di Don Orione; ADO, Summarium super vita et virtutibus, p. 58-59. Don Orione gli chiese di preparare “un doppio elenco, preciso, scrupoloso, di tutte le persone che sono in casa, nessuna esclusa”.

[29] Scritti 2, 185.

[30] Scritti 60, 290.

[31] Lettera del 5 ottobre 1920 a Don Sterpi; Scritti 14, 65.

[32] Lettera a Mons. Cribellati del 12 ottobre 1920; Scritti 65, 33. In lettera del 20 ottobre successivo, Don Orione può ancora informare Don Sterpi che “Il Conte sempre lo stesso. Non c’è nulla di pericolo imminente né prossimo. Prende latte e tre torli d’uovo al giorno. Penso davvero sia un cancro”; Scritti 14, 78.

[33] Subito Don Orione informò il Patriarca La Fontaine a Venezia: “Addoloratissimo, partecipo morte Conte Soranzo, avvenuta, molto cristianamente, iersera a Bra Villa Moffa. Preghiamo”; Scritti 60, 174.

[34] Il 13 maggio 1919 scriveva a don Sterpi; Scritti 13, 188.

[35]Potrà essere la ‘Bandito’ del Veneto”, aveva scritto Don Sterpi a Don Orione l’8 maggio precedente. A Bandito di Bra c’era Villa Moffa, la casa di formazione e di noviziato. Cfr. Don Sterpi, p.418.

[36] Una fattura del 27 dicembre 1919 attesta il pagamento di lire 5591,81 per lavori; ADO, cart. Campocroce.

[37] L’ordinazione per mano del Patriarca La Fontaine avvenne il 20 luglio del 1920, nella festività di S. Gerolamo Emiliani, nella chiesa eretta nel 1400 alle Zattere e da poco tempo affidata ai religiosi della Piccola Opera.

[38] ADO, cart. Campocroce.

[39] ADO, cart. Campocroce.

[40] Cfr. Scritti 40, 161; 61, 185 e 65, 188; “Casa Agricola Marco Soranzo per orfani o derelitti” in Scritti 16, 12; 81, 82 e 109, 208; “Casa Agricola per Orfani e fanciulli abbandonati” in Scritti 112, 250; “Casa Agricola Soranzo per fanciulli poveri e orfani” in Scritti 114, 21.

[41] Scritti 109, 252.

[42] Scritti 110, 39.

[43] Lettera a Don Pensa 26 gennaio 1921; Scritti 20, 110.

[44] Siamo nel 1828; Scritti 63, 2.

[45] Lettera a Don Berton del 2 aprile 1930; Scritti 36, 72.

[46] Scritti 14, 29.

[47] Don Orione scrisse così al Padre Serra, che aveva lavorato nell’opera di Lonigo, da Rio de Janeiro, il 26 gennaio 1922; Scritti 33, 159.

[48] Si veda Don Cesare di Salvatore, a cura di Bruno Fraulin, Roma, 2015.

[49] ADO, cart. Don Berton.

[50] Scritti 14, 145.

[51] Scritti 15, 116.

[52] Scritti 15, 126.

[53] Don Orione scrive di lui: “Era nato a Scaldasole (prov. di Pavia) il 4 ottobre del 1882, al secolo Torti Pietro. Entrò in Congregazione nel 1903, a 21 anni. Egli lavorò nelle nostre Colonie agricole di Sicilia, di Cuneo e di Campocroce di Mirano, dove emise i suoi voti perpetui; passò poi al nostro Seminario delle missioni estere, e venne mandato in Palestina”; Scritti 61, 185.

[54] Scritti 20, 111.

[55] La Villa di Campocroce divenne per il Patriarca luogo di riposo e di raccoglimento; in vari anni sono testimoniate sue lunghe soste. “Il Patriarca oggi è andato alla nostra Villa di Mirano, che è a poco più di un’ora da Venezia”; Lettera del 19 settembre 1919; Scritti 59, 124; 

[56] Don Orione era confidente della famiglia Fogazzaro e, in particolare, della figlia Maria che prolungò l’amicizia dell’illustre padre. Della corrispondenza di Maria Fogazzaro con Don Orione sono conservati numerosi autografi in ADO. Cfr. F. Peloso, Antonio Fogazzaro in Don Orione negli anni del Modernismo, p.110-112; Silvio Tramontin, Fogazzaro Maria in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, vol. III/1, p.377.

[57] Scritti 78, 82.

[58] Scritti 115, 214.

 

[60] Di questo discorso ci sono giunti il verbale e gli appunti di vari sacerdoti presenti; sono riportati in Riunioni p.60-68.

[61] Scritti 62, 30-33.

[62] Il nome sta ad indicare un “casa di prova”, cioè una casa in cui si prova la vita religiosa, si forma e si discerne se seguire la via della consacrazione. Era l’equivalente dei seminari minori diocesani.

[63] Cfr. Giorgio Papasogli, Vita di Don Orione, op. cit., pp.361-370.

[64] Parola del 28.VIII.1930; IV, 303. Nella medesima riunione informò: “Fra giorni manderò 3000 Circolari per l’Italia”.

[65] Scritti 62, 33; fu pubblicato in “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, marzo 1932, p.5-7.

[66] La lettera è indirizzata all’avv. Francesco Morcaldi; Scritti 54, 149 e altra minuta datata 2 aprile 1930; 37, 254.

[67] Don Orione, ancora chierico e sacrestano del Duomo di Tortona per potersi pagare gli studi, fece il proposito: “Parlerò poco, pregherò molto e lavorerò tanto da cadere alla sera stanco nelle braccia di Gesù”; Scritti 57, 97.

[68] Scritti 54, 249.

[69] Parola Vb, 232.

[70] “La nuova cappella misura metri 20x8; molto ariosa e devota, si mantiene in uno stile moderno, sobrio ed elegante. È il primo lavoro che il giovane architetto Ettore Vio di Venezia eseguisce ed ha voluto farne omaggio alla Madonna e all'Opera di Don Orione, prestando gratuitamente tutta la sua competenza e l'assidua assistenza durante i lavori. È stata benedetta solennemente da Mons. Antonio Mistrorigo, vescovo di Treviso, il 20 settembre. La banda dell'Istituto San Domenico di Vicenza accoglieva con note liete l'arrivo di Sua eccellenza delle autorità”; in “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, ottobre 1962.

[71] Presidenti degli Ex Allievi di Campocroce furono: Romano Longhin, Angelo Grendene, Lidio Buttolo, Valerio Canzian, Paolo Cavalletto, Paolo Dalle Fratte, Matteo Sarto, Rino Calzavara e Tarcisio Peloso.

[72] Scritti 81, 126 e 117, 104.

[73] L’Associazione fu fondata da Don Orione stesso nel 1934; l’ultimo aggiornamento dello Statuto dell’Associazione Ex Allievi Don Orione fu approvata il 16 maggio 2007.

[74] La comunità era sostenuta dall’Associazione promossa da Don Franco De Pieri (1938 – 2015)

[75] Promotore fu Don Moreno Cattelan ed ebbe un discreto successo con lo spettacolo “C’è posto per tutti” rappresentato in oltre 70 città italiane.

[76] L’inaugurazione fu presieduta da Don Flavio Peloso, ex allievo e superiore generale, con partecipazione di autorità civili e religiose, di numerosi Ex allievi e amici e, soprattutto, dei primi bambini ospiti. La casa accoglie giovani donne in gravidanza, madri sole o separate con figli a carico e nuclei familiari in situazioni di disagio sociale e abitativo attraverso l’ospitalità in comunità o con un’accoglienza in semi-autonomia in mini alloggi realizzati in un’area della struttura.

[77] Espressione molto usuale di Don Orione; ad esempio in Scritti 62, 128; 5, 433; 70, 45; 89, 186.

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