Il libro pubblica gli Atti del Convegno storico 'Don Orione e il Novecento', tenuto alla Pontificia Università Lateranense (1-3 marzo 2002).
DON ORIONE NEL ‘900.
Atti del Convegno di studi tenutosi a Roma nel marzo 2002.
Danilo Veneruso
Appaiono ora, con i tipi della Editrice Rubbettino e con la presentazione di Pietro Borzomati, ideatore e infaticabile direttore della collana «Spiritualità e promozione umana», e con il titolo significativo di Don Orione e il Novecento gli atti del Convegno di studi sul beato che è stato tenuto a Roma dal 1° al 3 marzo 2002 (pp. 364, euro 18).
Dopo essere stato l’animatore del convegno, è ora Flavio Peloso – l’«orionino» che da molti anni trasmette ad un pubblico più vasto la storia del beato con volumi e saggi e con la direzione dei quaderni di storia e spiritualità MESSAGGI DI DON ORIONE – a curare la stampa degli Atti anche con una propria Introduzione orientatrice e coordinatrice (pp. 9-14).
Peloso osserva preliminarmente che «mentre è piuttosto nota la sua figura di «padre dei poveri e benefattore dell’umanità dolorante e abbandonata» ricordata tra i primi da Pio XII, mentre è stata abbastanza studiata e divulgata la sua esperienza e l’insegnamento spirituale, cioè la sua santità, fascino primo della sua personalità, è rimasta piuttosto in ombra tutta quella rete di relazioni, di pensieri e di azioni che hanno legato il santo Fondatore tortonese ai problemi, alle tensioni e ai progetti della Chiesa e della società del suo tempo».
Dei tre motivi che egli indica per questa «limitata attenzione» quelli di maggiore importanza sono due, del resto indissolubilmente legati, secondo cui gli studiosi del beato da una parte«non hanno sospettato in lui, così modesto e riservato, una vita intellettuale e relazionale così vasta e rilevante» e, dall’altra, non hanno ricevuto finora con facilità notizie di queste azioni e di queste relazioni, «già per loro natura e per lo stile di operare del loro protagonista rimaste assai discrete e in gran parte sconosciute e poi custodite con estrema cura e anche con estrema riservatezza nell’archivio generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza di Roma».
Adesso i veli di questa «riservatezza» cominciano ad essere aperti dalle relazioni presentate in questo convegno, in cui Pietro Borzomati tratta delle relazioni di Don Orione con gli altri santi contemporanei (pp. 19-36), Annibale Zambarbieri delle sue relazioni con Papi e Papato (pp. 37-72), Roberto De Mattei del suo incontro con il modernismo (pp. 73-98), il Cardinale Giovanni Canestri del suo incontro con l’Italia (pp. 99-113), Antonio Sagrado Bogaz del suo incontro con il Brasile (pp. 115-142, Enzo Giustozzi del suo incontro con l’Argentina (pp.143-159), Anzelm Weiss del suo incontro con la Polonia (pp.161-177), Roberto Simionato (attualmente Superiore generale della Piccola Opera della Divina provvidenza) delle ragioni e atteggiamenti dell’abbraccio dei popoli (pp. 179-198), Angelo Bianchi della sua dottrina e della sua azione educativa (pp. 199-228), Giovanni Casoli delle sue relazioni con le persone di cultura (pp. 229-254), Roberta Fossati del suo incontro con le donne del Novecento (pp. 255-276), Giovanni Marchi del suo incontro con la politica e con i politici (pp.277-311).
La «tavola rotonda», nella quale, oltre ad alcuni relatori, hanno partecipato anche il Rettore del Pontificio Ateneo Lateranense Mons. Rino Fisichella, Lino Piano, Cosimo Semeraro e Michele Busi, ha sintetizzato e in un certo senso consegnato alla storiografia i risultati del convegno (pp. 313-325).
Certo, il punto di partenza dell’intero svolgimento della vita del beato è la spiritualità che lo ha condotto ai vertici della santità. È quindi logico che in principio sia posto il saggio di Borzomati, che individua la peculiarità della spiritualità orionina nella sua capacità di lievitare «un rapporto non solo tra i popoli, la salvaguardia dei diritti degli oppressi e l’impegno per il bene comune», ma anche tra le personalità spiritualmente e culturalmente più dotate del suo tempo, da Giovanni Bosco a Jacques Maritain e a Clemente Rebora.
Leone XIII è certamente il Papa della sua formazione, colui che, con le sue encicliche sociali, con la Immortale Dei, con la Libertas e specialmente con la Rerum Novarum la quale insegna alla società contemporanea che «la carità salverà il mondo», fa comprendere al giovane Orione come la Chiesa sia carica di mistero anche nei suoi aspetti sociali e che il mondo, combattendo il cristianesimo, si avvii in realtà non verso il progresso ma all’indietro, verso il paganesimo.
Nel sostenere la causa della Chiesa nella Questione Romana, Orione, secondo una tradizione cattolica del resto largamente diffusa, risale all’insegnamento neoguelfo per cui, come osserva Zambarbieri, «la rigenerazione della società indivisibile può prodursi solo attraverso il riconoscimento dell’autorità sovrana della Chiesa e in particolare del Papa», per cui «il principio dell’unità di fede e di disciplina ecclesiastica avrebbe rappresentato la garanzia della stabilità del potere e del benessere dei cittadini dall'altra».
Se Leone XIII suscita nel giovane Orione profonda impressione con il mostrarsi assorto in preghiera e con l’approvare la sua congregazione con uno dei suoi ultimi atti (1903), con S. Pio X c’è invece una sintonia fondata anche sulla conoscenza personale. Il sensibile acume di don Giuseppe De Luca associa il beato tortonese al Santo Padre, osservando come «ambedue siano di umile nascita, ambedue appassionati del popolo minuto, ambedue non nemici del loro tempo, ma nemmeno entusiasti, ambedue magnifici preti fino all’ultimo».
Non è un caso infatti che a Don Orione il Papa affidi un compito che sembrerebbe intimamente contraddittorio per una certa vulgata sospettosa del pontificato piano, ma nella realtà pienamente addentro alla complementarità cristiana: carta bianca e piena di fiducia tanto nelle opere di carità e nella ricostruzione cristiana del comprensorio calabro-siculo devastato dal terribile terremoto del 28 dicembre 1908 quanto nella vasta rete relazionale intessuta dal «piccolo prete» tortonese per mantenere o per riconquistare alla fede persone in qualche modo coinvolte dal Don Orione negli anni del modernismo.
D’altra parte, come mostra De Mattei, questo movimento non può essere scambiato né con uno dei tanti sistemi filosofici del tempo né con una vaga atmosfera vaporosa e romantica come tendono a presentarlo molti cattolici del tempo quali i redattori e i collaboratori della Rassegna Nazionale (ma non Buonaiuti). Se fosse stato così sarebbe stata una tendenza suscettibile di correzione, non di condanna: si tratta in realtà dell’incontro con quel pensiero moderno che trova la sua espressione nel pensiero monistico ed immanentistico di Giovanni Gentile che dissolve insieme Dio e l’uomo nella dissoluzione di ogni rapporto.
Certo, il beato Orione può agire con quella autonomia di tenere relazioni anche con l’esterno o il lontano che nel Papa è più limitata vuoi per la sua responsabilità vuoi anche per una certa spigolosità di carattere emersa con gli anni e con gli allarmi: tuttavia la complementarità tra la figura e l’opera di don Orione e di S. Pio X resta.
La dimensione della complementarità è dunque molto importante per comprendere tanto quella di pluralità quanto quella di unità. Questa triade, a sua volta specchio della realtà teologica della Trinità che ne è la fonte, è sempre ben presente nel pensiero e nell’azione del sacerdote tortonese.
Con lo stesso amore e con la stessa comprensione con cui è capace di incontrare l'Italia, sua amata patria, è capace di incontrare il Brasile, l’Argentina, la Polonia, in quanto nell’unità di Dio è capace di abbracciare tutti i popoli secondo un metodo che, ad onta di alcune riserve del tempo, non teme neppure perfino quella che oggi si definirebbe l'inculturazione. Egli infatti, possedendo l’unità, non teme la pluralità che discende da quell’unità fonte dell’universalità messa in evidenza da Simionato.
Il saggio di Bianchi mette in rilievo come una personalità quale il beato Orione non possa non avere la vocazione di educatore. Essa viene precocemente promossa dall’incontro che egli, ancora ragazzo, fa con Don Bosco da lui affettuosamente assistito nell’ora del trapasso. Adotta quindi, nel trattamento della numerosa gioventù con cui assai presto ha da fare, il «metodo preventivo» salesiano, ma lascia questa tradizione quando, nella fase finale della sua laboriosa esistenza, si accorge che il problema da affrontare è soprattutto quello di «carità per il popolo, per i figli degli operai, perché noi siamo per gli umili, per gli orfani, per i vecchi abbandonati, per la plebe cristiana».
È assai significativa l’applicazione anche ad una nazione, la Polonia, del criterio della «carità verso gli ultimi»: quando nel settembre 1939 questa nazione viene attaccata dalla Germania nazionalsocialista egli non solo avvolge da quel momento il suo letto con la bandiera polacca, ma accoglie perfino, di fronte alla totale ingiustizia dell’aggressione tendente a fare schiavo un intero popolo, la dottrina della guerra difensiva pro aris et focis come unica ipotesi di guerra ammissibile.
Così le recenti indagini inverano nel senso della complementarità il giudizio sintetico che di lui ha dato a caldo Pio XII: il «piccolo uomo» che è capace di parlare ai mistici, agli intellettuali, alle donne colte, ai politici del suo tempo, è nello stesso tempo tra i più lontani dall’elitismo e dall’ermetismo della cultura contemporanea e tra i più vicini alle sofferenze degli umili.